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Castellammare di Stabia

In Libia è stallo totale e Conte teme una crisi umanitaria (VIDEO)

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Il premier Conte durnate l’informativa al Senato sulla crisi libica, ha affermato che teme una crisi umanitaria e che gli sfollati sono già in aumento:

“Il rischio di crisi umanitaria è ben concreto”.

“Ad oggi gli scontri hanno spinto circa 18.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni e gli sfollati interni sarebbero ancora in rapido aumento. La stima delle vittime e dei feriti, al momento alcune centinaia, è tuttora incerta, stante la difficoltà di conciliare le informazioni ufficiali con quelle ricevute dal terreno. Anche la Missione ONU (UNSMIL) condivide comunque la percezione di un probabile aggravamento della crisi”.

A seguire si riporta, in Video e in trascriaione testuale, l’intera Informativa fornita ieri, Giovedì 18 Aprile 2019, dal Presidente Conte al Senato sulla Libia

Informativa del Presidente Conte al Senato sulla Libia
Giovedì, 18 Aprile 2019

Gentile Presidente, gentili Senatrici e gentili Senatori, accolgo con piacere la richiesta di illustrare anche a quest’Aula lo stato della situazione libica, sulla quale ho già riferito alla Camera dei Deputati la scorsa settimana.

Gli ultimi sviluppi in Libia ed in particolare l’escalation militare continuano ad essere motivo di forte preoccupazione per l’Italia, per l’Europa e per Comunità internazionale intera.

La cornice di sicurezza nel Paese rimane estremamente fragile e fluida, a seguito dell’avvio, lo scorso 3 aprile, dell’offensiva militare dell’LNA verso Tripoli, sulla scia della conquista, a inizio dicembre, di importanti aree del sud del Paese con l’obiettivo dichiarato di combattere il terrorismo e stabilizzare la regione.

Il 6 aprile il Presidente del Governo di Accordo Nazionale Serraj ha inviato un messaggio televisivo alla nazione nel quale ha espresso sorpresa per l’aggressione posta in essere nel corso delle trattative in vista della Conferenza Nazionale e assicurato una ferma risposta a quello che ha definito “un tentato colpo di Stato”.

Con il passare dei giorni gli scontri sono proseguiti, con alterne vicende, in un quadro di sostanziale equilibrio tra le forze in campo. I principali quadranti di scontro si collocano al momento a sud della Capitale, dove si concentra la resistenza delle forze facenti capo al Governo di Accordo Nazionale contro l’avanzata dell’LNA, e ad Al Jufra, dove sono attive le forze di Misurata con l’obiettivo di compromettere la lunga catena logistica e di rifornimento dello stesso auto-proclamatosi Esercito Nazionale Libico.

Ad esacerbare ulteriormente il livello dello scontro, nelle giornate in particolare del 16 e 17 aprile scorso si è verificato un prolungato lancio di razzi Grad da parte di unità dell’LNA verso diverse zone della città di Tripoli, che ha provocato anche alcune vittime fra la popolazione civile.

Si registra un aumento delle tensioni anche nell’area di Sirte dopo i pre-posizionamenti delle forze misuratine e la dichiarazione da parte dell’LNA dell’avvio di un’operazione nell’area.

Lo stallo sul terreno, in ragione della apparente parità delle forze in campo, ha dunque inevitabilmente determinato un’evidente escalation militare, con un crescente uso di armamenti più potenti e di artiglieria pesante e un ricorso sempre più frequente dell’aviazione da entrambe le parti.

Ad oggi gli scontri hanno spinto circa 18.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni e gli sfollati interni sarebbero ancora in aumento.

La stima delle vittime e dei feriti, al momento alcune centinaia, non è certa, stante la difficoltà di conciliare le informazioni ufficiali con quelle ricevute dal terreno.

Anche la Missione dell’ONU condivide comunque la percezione di un probabile aggravamento della crisi.

In questa prospettiva, in questa situazione il rischio di crisi umanitaria è concreto.

La situazione di caos e violenza accresce fortemente anche il rischio di una recrudescenza del fenomeno terroristico, del resto ancora ben presente in Libia, come confermato dell’attentato compiuto il 9 aprile da Daesh a Fuqaha (Al Jufra) e come dimostrato dall’infiltrazione di elementi jahidisti tra le fila di milizie e gruppi combattenti. Il contrasto al terrorismo e al flusso di foreign fighters, anche in ragione delle evoluzioni nel quadrante del Siraq, rimane dunque una delle principali sfide con cui il Paese e l’intera Comunità internazionale devono responsabilmente confrontarsi.

Per quanto riguarda le possibili conseguenze sui flussi migratori verso l’Italia o altro territorio sempre dell’UE, al momento – al di là delle cifre circolate nei giorni scorsi, anche a fini propagandistici – dalle informazioni in nostro possesso non emerge allo stato un quadro di imminente pericolo.

Su tutto questo complesso quadro di sicurezza manteniamo naturalmente alta l’attenzione, molto alta, anche attraverso la nostra sede diplomatica e i servizi di intelligence.

È però evidente che in una situazione di tale fragilità non ci sia tempo da perdere: il protrarsi del conflitto – che potrebbe degenerare in una vera e propria guerra civile – va scongiurato rapidamente e con tutto l’impegno politico necessario.

Sul piano politico, gli sviluppi sul terreno – per molti versi inattesi, soprattutto nella loro rapidità – hanno inevitabilmente determinato l’insuccesso della missione del Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres e il rinvio della Conferenza nazionale, che vi ricordo era programmata per il 14-16 aprile a Ghadames.

È palese del resto che, alla base di questa nuova crisi, vi sia anche la perdita di coesione della Comunità internazionale, che non è riuscita a offrire evidentemente indicazioni univoche nell’assicurare soprattutto con piena compattezza il proprio sostegno all’azione delle Nazioni Unite, come era invece riuscita a fare in occasione della Conferenza di Palermo.

È sul ritorno a questa coesione che stiamo dunque profondendo le nostre energie e spendendo il nostro peso politico.

Come ricordato dallo stesso Guterres nel suo intervento al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l’8 aprile, l’involuzione in atto non ci deve infatti far deflettere dalla ricerca di una soluzione politica, che è l’unica davvero sostenibile.

Certamente l’obiettivo principale e immediato in questa fase continua ad essere la cessazione delle ostilità e l’instaurazione di una tregua, che permetta innanzitutto di proteggere la popolazione, gestire gli aiuti e favorire la ricostruzione di un clima di fiducia, necessario per sedersi nuovamente al tavolo dei negoziati.

Sono stati effettuati dei tentativi di mediazione da parte del Rappresentante Speciale ONU Salamé finalizzati al raggiungimento di un accordo tra le parti per il cessate il fuoco e la possibile ripresa del confronto negoziale. La maggiore difficoltà su questo versante viene dalle condizioni che le parti intendono imporre per un ritorno al tavolo della diplomazia.

Sin dall’inizio della crisi, l’Italia ha condotto un’intensa attività diplomatica a più livelli e a tutto campo. Un’attività che si è rivolta alle parti libiche, ai principali attori regionali e internazionali, ha coinvolto le Nazioni Unite e l’Unione Europea, al fine di scongiurare un ulteriore peggioramento della situazione sul terreno, che potrebbe avere gravi conseguenze per la popolazione libica e la stabilità dell’intera regione euro-mediterranea.

Su impulso italiano, il 5 aprile scorso i Ministri degli Esteri dei Paesi G7 hanno rilasciato una dichiarazione congiunta sulla situazione in Libia, che ben fotografa la nostra posizione. I Ministri hanno in particolare riaffermato che non esiste una soluzione militare al conflitto libico; hanno reiterato il pieno sostegno al Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres e al suo Rappresentante Speciale Salamé per trovare una soluzione allo stallo politico in vista di elezioni credibili e pacifiche, in linea con quanto convenuto a Palermo; hanno fatto appello a tutti i libici affinché sostengano costruttivamente il processo onusiano; hanno invitato la comunità internazionale a mostrare piena coesione in vista del comune obiettivo della stabilizzazione della Libia.

Abbiamo giocato inoltre un ruolo chiave nell’elaborazione della Dichiarazione dello scorso 11 aprile dell’Alto Rappresentante Mogherini per conto dell’Unione europea sulla situazione in Libia, anch’essa pienamente in linea con la posizione italiana.

Come ho avuto modo di ricordare la scorsa settimana dinnanzi alla Camera dei Deputati, in questi mesi – ma anche in questi giorni, in queste ore – sono stato in contatto diretto con i due principali attori libici, il Presidente Serraj e il Generale Haftar, così come con gli altri protagonisti del panorama politico interno. Ho incontrato in particolare, recentemente, il Vice Premier Maitig. Frequenti sono anche i contatti degli altri Ministri di Governo, a partire naturalmente dal Ministro Moavero, in un quadro di coordinamento assicurato dalla Cabina di regia che, all’indomani dello scoppio della crisi, ho costituito a Palazzo Chigi.

A tutti i nostri interlocutori abbiamo manifestato la nostra forte preoccupazione per l’escalation militare e per i rischi di crisi umanitaria, nonché l’urgenza di lavorare in direzione di un cessate-il-fuoco e di un’immediata interruzione della spirale di contrapposizione militare, preservando l’integrità di Tripoli e la distensione sul resto del territorio. Si tratta, come detto, di una strada obbligata per ridare spazio al dialogo politico e ricostruire un minimo di fiducia tra le parti, ai fini di un processo credibile e sostenibile.

È evidente che favorire il cessate-il-fuoco e la ripresa del dialogo politico non può prescindere dalla disponibilità delle parti ed è per questa ragione che crediamo in un approccio inclusivo che, nel rispetto del diritto internazionale e attraverso un’azione di equilibrata mediazione, possa mantenere aperto il canale di dialogo tra le parti e dare ascolto alle legittime aspettative del popolo libico, estenuato da otto anni di instabilità e insicurezza.

Il nostro sostegno al Governo di Accordo Nazionale, infatti, è andato in questi mesi di pari passo con una forte azione di “moral suasion”, volta a identificare ogni possibile spazio di intesa politica con gli altri attori, a partire naturalmente dal riconoscimento del ruolo del Generale Haftar, non solo in Cirenaica, ma anche sul piano nazionale. A questo mi sono dedicato in particolare nel mio incontro con Serraj, a margine del Vertice UE-Lega Araba, che si è tenuto a Sharm el Sheikh a fine febbraio, proprio alla vigilia dei colloqui di Abu Dhabi che pure avevano acceso la fiamma della speranza perché si erano svolti al fine di ragionare su un possibile specifico accordo tra le parti. A questo continuo a dedicarmi, nella consapevolezza che gli spazi di manovra attuali sono certo esigui, ma anche con la certezza che non vi sono alternative credibili e sostenibili.

Come osservavo in precedenza, questa crisi è frutto certamente di debolezze – le definirei – strutturali del contesto locale, ma anche di influenze esterne che non sempre sono andate nella direzione della stabilizzazione. L’instabilità protrattasi per otto anni in Libia va del resto inserita in un contesto regionale che appare non meno critico e che dobbiamo assolutamente preservare: si pensi, ad esempio, ai più recenti sviluppi in Algeria, ai rischi di ripercussioni sulla Tunisia e agli sviluppi sul quadrante mediorientale.

L’obiettivo di favorire il recupero di una più ampia coesione internazionale sul dossier libico è dunque oggi più indispensabile che mai e mi spinge ad un intenso impegno sul piano diplomatico, anche attraverso le mie numerose missioni all’estero. Con tutti i Ministeri interessati, con il mio staff diplomatico e i competenti organismi, stiamo ulteriormente rafforzando il filo diretto con i principali stakeholder internazionali, a partire dagli Stati Uniti, dai partner europei e dagli attori regionali più influenti in Libia. Particolarmente intensa è l’interlocuzione con Washington. Come noto – è stato anche diffuso a mezzo stampa – ho avuto ieri un colloquio telefonico con il Presidente Trump, con cui abbiamo condiviso la preoccupazione per l’escalation sul terreno e per i rischi di una crisi umanitaria. Con Trump abbiamo concordato di restare in stretto e diretto contatto, sin dai prossimi giorni, dalla prossima settimana, per individuare una soluzione sostenibile alla crisi libica e quindi perseguire una soluzione politica.

Nei giorni scorsi ho avuto uno scambio di valutazioni con la Cancelliera Merkel, che come me e con me ritiene imprescindibile e urgente la cessazione delle ostilità e il riavvio del dialogo ai fini di una soluzione politica. In più occasioni ho discusso anche il dossier libico con il Presidente Macron, da ultimo a Bruxelles. Rimaniamo in stretto contatto anche a livello di staff, con l’obiettivo comune di perseguire la stabilità e lo sviluppo della Libia. Una Libia instabile, del resto, non può soddisfare alcun interesse nazionale di nessun Paese.

Divergenze sul tema non solo appaiono illogiche, ma soprattutto appaiono inammissibili.

Stretto è il raccordo anche con i Partner della Regione, per ottenerne un coinvolgimento il più possibile lineare rispetto al processo politico, che prefiguriamo e che stiamo perseguendo. Dal Qatar all’Egitto, dagli Emirati Arabi Uniti alla Turchia, passando per Tunisia e Algeria, il confronto è aperto e costante con tutti.

Oltre a questa intensa attività politico-diplomatica, e nonostante la gravità degli scontri in corso, l’Italia continua ad essere presente sul terreno: la nostra Ambasciata a Tripoli ad oggi è pienamente operativa; il personale militare italiano presente in Libia, prevalentemente concentrato a sostegno delle attività dell’ospedale di Misurata e della Guardia Costiera libica, non è stato evacuato. A tutti loro vanno il nostro plauso e la nostra ammirazione per l’impegno e la dedizione con cui assolvono il proprio compito anche in condizioni di oggettiva criticità. Monitoriamo costantemente le condizioni di sicurezza, ma finché queste ultime lo consentiranno, siamo intenzionati a rimanere al fianco del popolo libico e siamo intenzionati a continuare a lavorare in prima linea per assicurare una transizione sostenibile, forti del nostro approccio improntato al massimo rispetto per la popolazione libica e forti di un senso di responsabilità che, se mi consentite, si acuisce di ora in ora, perché ci deriva dal fatto – direi oggettivo – che siamo tra i pochi Paesi stranieri che hanno una credibilità che ci pone in condizione di interloquire con tutti gli attori libici.

L’Italia ha recentemente aderito alla richiesta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la fornitura a scopi umanitari di kit sanitari in Libia. La fornitura consentirà all’Organizzazione Mondiale della Sanità di proseguire il programma di distribuzione di medicinali e di poter disporre di attrezzature medico-sanitarie per le prestazioni mediche in loco. La fornitura sarà disposta dal deposito umanitario di Brindisi e consegnata, tramite l’Ambasciata a Tripoli, al Ministero della Salute libico.

Abbiamo inoltre già dato la nostra disponibilità ad entrambe le parti per assicurare l’assistenza sanitaria italiana per la cura dei feriti provenienti da entrambi gli schieramenti a causa degli scontri delle ultime settimane. E stiamo valutando, ma si tratta veramente delle ultimissime ore, anche la possibilità di rafforzare il nostro presidio medico dell’ospedale di Misurata. Sui corridoi umanitari nella regione il nostro Paese, dai tempi della Primavera Araba ad oggi, ha mostrato – mi sia consentita questa espressione – il miglior volto dell’Europa.

Permettetemi adesso poche considerazioni conclusive.

C’è chi sostiene che i recenti sviluppi libici segnino il fallimento della diplomazia e anche, c’è stata qualche nota critica, sulla presunta scarsa incisività dell’azione italiana. In realtà, come e l’osservavo anche alla Camera, la tempistica degli scontri ci induce a pensare che stessimo procedendo nella giusta direzione e che si sia quindi voluto deliberatamente far deragliare un processo politico concreto e ben avviato. Dobbiamo quindi profondere ogni energia nel tentativo di recuperarlo, evitando che ancora una volta possano prevalere in Libia le forze dell’instabilità permanente, della violenza e della conservazione di uno status quo di cui il popolo libico è il primo a pagare le spese.

Ancora, ho più volte parlato di ricostruzione della fiducia tra le parti e di riavvio del percorso negoziale per individuare una soluzione sostenibile e ho richiamato il principio che ha sempre ispirato l’azione di Governo: quello di inclusività. Sin dalla Conferenza di Palermo abbiamo basato la nostra azione sulla necessità di coltivare e alimentare un dialogo tra tutte le diverse anime politiche libiche, nella consapevolezza della complessità di quella realtà.

Ancora, “inclusività” non significa – tengo a sottolinearlo – ambiguità, o indecisione, bensì coerenza con un approccio che parte proprio dalla considerazione dei nostri interessi strategici e quindi dall’esigenza di garantire la stabilità della Libia. Significa anche equilibrio, visione e mantenimento di una capacità di mediazione che è essenziale poter esercitare per far tacere le armi e far parlare la politica. È illusorio e pericoloso perseguire una soluzione che punti a imporre con la forza le ragioni di alcune fazioni – alcuni paesi nei confronti di altri.

Ho osservato, infine, alla Camera e tengo a ribadirlo qui: non ci sono interessi economici o geopolitici che possano giustificare scorciatoie militari e in ultima analisi il rischio di una guerra civile in Libia. Come purtroppo i fatti stanno dimostrando, la violenza genera violenza e non serve né gli interessi della popolazione – che già risulta allo stato colpita o addirittura sfollata – né quelli della comunità internazionale, né certamente quelli dell’Italia. Grazie per la vostra attenzione.

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