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Cosa nostra: 91 arresti in tutta Italia e sequestri per 15 milioni di euro

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Cosa nostra. La GdF, nel corso dell’Operazione Mani in pasta, ha arrestato 91 persone in Sicilia, Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Campania.

Dalle prime luci dell’alba, militari del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, con il supporto del Comando Provinciale di Palermo e di altri Reparti sul territorio nazionale, stanno dando esecuzione a ordinanze di custodia cautelare e sequestro preventivo, emesse dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti 91 soggetti, nonché di un vasto patrimonio immobiliare e mobiliare del valore di circa 15 milioni di euro.

Le operazioni sono in corso in Sicilia, Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Campania. Impegnati 500 uomini delle Fiamme Gialle, con l’appoggio di un mezzo aereo e di unità cinofile addestrate per la ricerca di armi, stupefacenti e valuta.

Il Gip che ha disposto gli arresti parla di “contesto assai favorevole per il rilancio dei piani dell’associazione criminale sul territorio d’origine e non solo“. Attività ferme per il lockdown, una drammatica crisi economica, imprese sull’orlo della chiusura e Cosa nostra pronta a sfruttare l’emergenza. È la fotografia della realtà economica palermitana messa nero su bianco nell’inchiesta della Dda di Palermo.

Per il Gip Piergiorgio Morosini che ha organizzato gli arresti scrive nel suo provvedimento chei clan sono pronti ad approfittare della situazione attuale, sono sempre pronti a dare la caccia ad aziende in stato di necessità. Con la crisi di liquidità di cui soffrono imprenditori e commercianti, i componenti dell’organizzazione mafiosa potrebbero intervenire dando fondo ai loro capitali illecitamente accumulati per praticare l’usura e per poi rilevare beni e aziende con manovre estorsive, in tal modo ulteriormente alterando la libera concorrenza.

“Le misure di distanziamento sociale e il lockdown su tutto il territorio nazionale, imposti dai provvedimenti governativi per il contenimento dell’epidemia, hanno portato alla totale interruzione di moltissime attività produttive, destinate, tra qualche tempo, a scontare una modalità di ripresa del lavoro comunque stentata e faticosa, se non altro – scrive il GIP Morosini -per le molteplici precauzioni sanitarie da adottare nei luoghi di produzione. Da una parte, l’attuale condizione di estremo bisogno persino di cibo di tante persone senza una occupazione stabile, o con un lavoro nell’economia sommersa, può favorire forme di soccorso mafioso prodromiche al reclutamento di nuovi adepti“.

“Dall’altra, il blocco delle attività di tanti esercizi commerciali o di piccole e medie imprese – continua il GIP  ha cagionato una crisi di liquidità difficilmente reversibile per numerose realtà produttive, in relazione alle quali un ‘interessato sostegno’ potrebbe manifestarsi nelle azioni tipiche dell’organizzazione criminale, vale a dire l’usura, il riciclaggio, l’intestazione fittizia di beni, suscettibili di evolversi in forme di estorsione o, comunque, di intera sottrazione di aziende ai danni del titolare originario“.

“Con la crisi di liquidità di cui soffrono imprenditori e commercianti – conclude il Giudicei componenti dell’organizzazione mafiosa potrebbero intervenire dando fondo ai loro capitali illecitamente accumulati per praticare l’usura e per poi rilevare beni e aziende con manovre estorsive, in tal modo ulteriormente alterando la libera concorrenza tra operatori economici sul territorio e indebolendo i meccanismi di protezione dei lavoratori-dipendenti”.

L’inchiesta, che disarticola due “famiglie” di spicco di Cosa nostra palermitana, ha svelato anche gli interessi dei clan negli appalti e nelle commesse sui lavori eseguiti ai Cantieri navali di Palermo, nelle attività del mercato ortofrutticolo, nella gestione delle scommesse online e delle slot-machine, oltre che in quella “storica” del traffico di droga e nelle corse dei cavalli. Lunghissima la lista delle attività commerciali sottoposte al racket del pizzo. Sequestrati anche beni del valore di circa 15 milioni di euro.

In manette sono finiti esponenti di storiche famiglie mafiose palermitane come quelle dei Ferrante e dei Fontana. A Palermo i fedelissimi del clan dell’Acquasanta, la zona ovest della città: gestivano estorsioni, controllavano le gare all’interno di alcuni ippodromi, e si erano anche infiltrati in una cooperativa che lavora ai Cantieri navali del capoluogo siciliano.

In Lombardia, invece, c’erano i registi dell’operazione: i fratelli Fontana, Gaetano (44 anni), Giovanni (42) e Angelo (40), i figli di don Stefano, uno dei fedelissimi del capo dei capi Totò Riina morto nel 2013. In manette anche la figlia del boss dell’Acquasanta, Rita, e la moglie, Angela Teresi. In Lombardia stavano anche gli insospettabili che gestivano l’ultimo investimento della cosca, la commercializzazione di cialde e capsule di caffè.

Ai domiciliari è finito anche Daniele Santoianni, ex broker di una società fallita che si era reinventato concorrente del Grande Fratello 10. Al termine dell’esperienza televisiva aveva iniziato a fare da prestanome in una società per la vendita del caffè. Per la Procura di Palermo e il nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza faceva parte di un ingranaggio importante della grande macchina di riciclaggio architettata fra Palermo e Milano dai rampolli del clan Fontana.

Da Palermo a Milano.

A Palermo i Fontana puntavano invece su un fidatissimo, Giovanni Ferrante che aveva finito di scontare una condanna per mafia nel 2016. Era stato affidato in prova ai servizi sociali ma, dopo intercettazioni e pedinamenti, gli investigatori hanno scoperto che gestiva il clan. Anche E lui puntava tutto su alcuni investimenti leciti, attraverso prestanome. Aveva una grande passione: i cavalli purosangue che faceva correre nei circuiti italiani: ne aveva comprati dodici, ora sequestrati. Ferrante li faceva correre aggiustando le gare. Le intercettazioni della Guardia di finanza hanno svelato gare truccate negli ippodromi di Torino, Villanova D’Albenga (Savona), Siracusa, Milano e Modena. Gli episodi risalgono a due anni fa. Alcuni fantini sarebbero stati corrotti, altri avvicinati, per non vincere. Nelle intercettazioni, i boss parlavano anche di sostanze dopanti da somministrare ai cavalli.

Da tempo i fratelli Angelo, Giovanni e Gaetano Fontana, considerati esponenti del clan dell’Acquasanta, vivevano a Milano, città diventata il centro dei loro affari e riciclo di denaro sporco proveniente da estorsioni, traffico di stupefacenti e controllo del gioco d’azzardo. Gli inquirenti parlano di una vera e propria delocalizzazione al nord che la “famiglia” ha realizzato grazie ad una rete di complici e ai patrimoni accumulati. I fratelli Fontana avevano messo su una redditizia attività imprenditoriale a Milano di commercio di orologi di lusso, attraverso società italiane ed estere gestite tramite prestanomi: denaro a fiumi e riciclaggio dei soldi sporchi della cosca anche grazie alla complicità di un commercialista milanese. Ma i rampolli di Cosa nostra era sempre alla ricerca di nuovi affari per riciclare i soldi provenienti da Palermo. Per Gaetano Fontana il vero affare su cui puntava era quello del caffè: prima, con alcune aziende che si occupavano della produzione, poi aveva scelto di investire solo sulla distribuzione. Sono tre le società sequestrate: due a Milano, una Palermo. Una amministrata ufficialmente da Daniele Santoianni, l’ex broker di una società fallita che si era reinventato concorrente del Grande Fratello 10.

A

lle 12:00 ci sarà una conferenza stampa della Procura della Repubblica – D.D.A. di Palermo, nella quale ci saranno forniti maggiori dettagli che vi forniremo con un aggiornamento.

 

Cosa nostra: 91 arresti in tutta Italia e sequestri per 15 milioni di euro / Sebastiano Adduso

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