Pioggia di cartelle esattoriali per accertamenti fiscali e tributi

Sta arrivando (è già partita) una pioggia di cartelle esattoriali. Il centrodestra: un reset totale...

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Sta arrivando (è già partita) una pioggia di cartelle esattoriali. Il centrodestra: un reset totale dei debiti pregressi.

Qualche giorno addietro nella seconda parte di un nostro articolo invitavamo all’attenzione i concittadini poiché arrivavano da parte dei Comuni richieste di pagamento di tributi arretrati con sanzioni del 30% (una norma quest’ultima delle sanzioni al trenta per cento da interiormente estorsori legalizzati) da non confondere con le cartelle esattoriali poiché tali atti sono già esecutivi.

Adesso starebbe per arrivare anche una pioggia, stavolta, di cartelle fiscali sui noi cittadini. Con l’inizio dell’anno infatti ripartirebbe l’attività di riscossione degli accertamenti fiscali e dei tributi in atto sospesi per via della pandemia in corso, comprese le multe non pagate e che il Governo aveva congelato nel 2020 per via della pandemia.

S’invoca pertanto una nuova sospensione altrimenti le procedure di riscossione per circa 35 milioni, tra cartelle esattoriali, ipoteche, pignoramenti e fermi amministrativi, considerando gli atti bloccati nel 2020 e quelli che matureranno nel 2021.

Ripartiranno pure gli accertamenti, gli avvisi bonari e l’invio delle lettere di compliance (in tutto, circa 15 milioni), queste ultime per invitare i contribuenti a verificare se nelle dichiarazioni dei redditi sono stati indicati correttamente tutti i dati reddituali.

Si tratta, complessivamente di circa 50 milioni di atti. All’incirca la metà costituiti da quelli che si sono accumulati nell’anno che si è appena chiuso mentre l’altra metà è quella che si stima andrà a prodursi nel corso di quest’anno 2021. Si prevede che potrebbero esserci 4 milioni di azioni esecutive e altri interventi di recupero.

Si tratta molto spesso anche di tasse*, sanzioni e multe non pagate prima della pandemia. Pertanto atteso che non siamo ancora fuori dal contagio da nuovo coronavirus (Sars-Cov-2) – e ancora peggio dalla, a volte, conseguenziale malattia anche mortale Covid-19 – le oggettive e visibili difficoltà e impossibilità di tanti contribuenti sono aumentate (non li vedono, sentono e neanche percepiscono le pletore di garantiti del trasversale sistema pubblico-politico).

Rimettere quindi in azione il “tritacarne” della riscossione a pieno regime potrebbe causare la chiusura di molte attività e causare danni psico-sociali individuali e collettivi irrimediabili. Senza contare le preoccupazioni per l’ordine pubblico relative all’invio di così tante cartelle che causerebbe un ammasso difficile da gestire presso gli sportelli delle poste e dell’Agenzia delle Entrate, tanto più in tempi di pandemia.

Tuttavia, si ritiene, che la rottamazione stessa proposta, pare, in queste ultime ore dall’attuale Governo, non tiene conto (e figurarsi come analogamente hanno fatto i Governi precedenti) che se il cittadino comune avesse i soldi necessari, non ci sarebbero problemi a pagare le (stra)tasse (il pizzo legalizzato di Stato, Regioni, Enti e Comuni), tanto più se rateizzato e senza sanzioni.

La realtà misconosciuta dai Governi e Parlamenti è che la maggior parte della gente comune, per adempiere alla rottamazione, deve spesso farsi prestare i soldi in banca.

Notoriamente gli Istituti di credito, grazie ai nostri decennali e attuali Governi e Parlamenti, sono società private quando devono prestare i soldi ai cittadini comuni (agli “amici” risaputamente li trattano in modo “diverso”), mentre se le banche si trovano in difficoltà sono da rimpinguare con i soldi pubblici (le tasse dei cittadini o il debito pubblico).

Sicché andare a farsi un prestito in banca per potere chiudere il conto con il fisco, significa per i cittadini comuni pagare fior di interessi anche e più del 10%. Inoltre le banche non concedono a tutti il prestito, tranne se non si ha un garante oppure un reddito certo da dipendente del sistema pubblico.

Il centrodestra ha proposto un reset totale dei debiti pregressi. Una cancellazione dei debiti fiscali, affermando che “condono” è una brutta parola in tempi di pace, ma non in tempi di “guerra” come quella in corso contro la pandemia. Ciò è necessario per ridurre il rischio di una pesante crisi economica nei prossimi anni.

Si aggiunge, riteniamo ragionevolmente, da queste pagine: tranne per comportamenti premeditati, penalmente in modo rilevante e mafiosi.

Da queste pagine si è spesso utilizzata una frase “soglia di non ritorno”. Il buon senso (quello che sembra da decenni essere andato in vacanza) vorrebbe che al di là delle ideologie, ossessioni, accademie, visioni, pensieri, credenze, convinzioni e similari, si guardi sempre a questo limite, poiché ci insegna pure la Storia, non è detto che da esso si ritorni sani, e comunque nel caso, non è detto si sia più come prima.

Solo chi non vuole o non può vedere, non si accorge quanto molta società comune sia vicino a questa soglia di non ritorno. Molta gente comune tra l’altro, a causa di questa pandemia e insieme al conseguenziale danno economico patito, è di tutta evidenza vicinissima al crollo psicologico ed esistenziale.

E ritenere pure che quando passerà questa pandemia si potrà finalmente persino tornare come prima opprimendo a tasse le persone produttive, lavoratrici, private e operose, è come immaginare di fare correre uno appena salvato ma ancora ingessato, vorrà dire invalidarlo definitivamente. Ma senza più “mucche” non ci sarà neanche più “latte” per il “sistematico sistema pubblico-politico”.

* Le tasse sono quel tipo di costo per il cittadino chiaramente determinabile da un servizio erogato dallo Stato o da chi per esso. Sono quindi tasse la TARI (per la raccolta dei rifiuti), la Tassa sull’occupazione di suolo pubblico, la Tassa di registro sul contratto di locazione. In ognuno di questi casi infatti si può con certezza determinare per quale tipo di servizio fornito è stato prelevato denaro.

Le imposte sono invece una prestazione obbligatoria di denaro dovuta dai contribuenti, in relazione al proprio reddito e quindi alla propria capacità contributiva, in favore dello Stato o di altri Enti Pubblici territoriali. Si tratta di un costo non specificatamente individuabile in un sevizio bensì concorre all’erogazione di più servizi rivolti alla totalità dei cittadini. Sono imposte, ad esempio, l’Irpef, l’Ires o l’Irap. Tali somme infatti vengono utilizzate dallo Stato per finanziare spese pubbliche. Le imposte possono quindi finanziare i costi di opere di pubblica utilità come l’istruzione, la sicurezza, l’amministrazione pubblica.

Adduso Sebastiano

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