Web: tomba della privacy ed arma assassina

Ogni clic nel Web una pietra: Tiziana è morta così, lapidata sui social. Aveva girato un...

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Ogni clic nel Web una pietra: Tiziana è morta così, lapidata sui social. Aveva girato un video hard per provocare il fidanzato, ha fatto l’errore di inviarlo a qualche amico con Whatsapp. La rete non dimentica: quel video si è moltiplicato e ha trasformato la sua vita in un inferno. Poi era giunta anche un’ultima spinta dalla ‘giustizia’ italiana che l’aveva condannata, in linea con tante sue assurdità e come ciliegina sulla torta, a pagare 20.000 euro di spese legali per le sue azioni di tutela ed ecco che Tiziana si è uccisa, nonostante che il Tribunale avesse ordinato anche di cancellare il video. “Il fatto è – spiega il garante della privacy Antonello Soro, intervistato da Raphael Zanotti – che la tutela della privacy sul web è di fatto impossibile”.

Tiziana e quei clic come pietre. Caccia a chi ha diffuso il video

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MUGNANO (NAPOLI) – Ogni clic una pietra, Tiziana è morta così, lentamente, una lapidazione ai tempi dei social. Quel video hard che aveva girato per provocare l’ex fidanzato era diventato virale sul web. Quella frase: «Hai fatto il video? Bravo», trasformata in un meme, in un tormentone. Il tribunale di Napoli Nord le aveva accordato il diritto all’oblio, ordinando a colossi come Facebook di rimuovere pagine, tag post, foto e video, tutti offensivi, a lei dedicati. Ma Tiziana sapeva che era impossibile cancellare tutta questa storia, ricominciare da capo.

Non bastava il provvedimento, neanche il cambio del cognome. Si sarebbe portata dietro quell’errore tutta la vita. «Abbiate pietà di noi», dice la madre chiusa nel suo dolore nella villetta a Mugnano dove era andata a vivere con la figlia per sfuggire agli sguardi del paese, Casalnuovo di Napoli. Insieme a lei ci sono l’anziana madre, i fratelli. Tanti amici arrivano ad abbracciarli. Dicono tutti che Tiziana era splendida ma fragile. «Soffriva molto per quello che era successo», dice una parente. «Non riusciva a tirarsene fuori». Era diventata un’ossessione, tutto il giorno a controllare il web, a vedere cosa c’era ancora, cosa si diceva di lei. E spesso erano insulti terribili, alcuni anche ieri: c’è chi non si è fermato neanche davanti alla morte.

Tiziana viveva sui social, come tanti. Ma per chi come lei è nata in un «non luogo» come la periferia di Napoli è meno facile farne a meno. Il «luogo» dove incontrarsi diventa quello spazio senza confini e senza regole. E non importa quanti anni hai. Tiziana aveva 31 anni, non era quindi un’adolescente quando un anno e mezzo fa aveva deciso di fare il video hot per condividerlo su WhatsApp con cinque uomini. Ma nessuno aveva il diritto di approfittarne di scaricarle addosso cattiveria pura. Un foulard annodato al collo nella cantina di casa è stato l’unico modo che ha trovato per chiudere con quelle pagine virtuali e con una vita che le aveva regalato la bellezza, una famiglia affettuosa, ma nessuna sicurezza. Ci aveva già provato.

Quando cinque giorni fa è arrivata l’ordinanza, Tiziana non è stata contenta. In quelle pagine vi è il riconoscimento del diritto all’oblio, ma anche il riconoscimento che la giovane ha «effettuato volontariamente» i sei video che la ritraevano durante «il compimento di atti sessuali» e in seguito, «a cinque persone con cui intratteneva una corrispondenza telematica». Filmati in cui l’ex fidanzato veniva preso in giro, chiamato cornuto. E lui dalla sua pagina Facebook era intervenuto nei giorni in cui il video stava scalando la hit virtuale: «Non ho mai usato Facebook per cose mie personali e mai più lo farò ma visto e considerato che vi state divertendo così tanto bastardi e non vedevate l’ora di colpire e fare i fenomeni dietro WhatsApp a godere delle disgrazie degli altri senza saper quale sia il becco della verità… Ma state attenti che vi becco e vi becca anche la polizia».

Intanto gli inquirenti ascolteranno lui per capire bene quale sia stato il suo ruolo in questa vicenda. Come ascolteranno, una volta individuati, i cinque uomini destinatari del messaggio con il video spedito dalla Tiziana.

Ad accogliere il ricorso ex art. 700 è stata l’8 agosto il giudice Monica Marrazzo del Tribunale di Napoli nord. Tiziana non era contenta, non sentiva di avere avuto giustizia, non pensava ad altro, questa vicenda aveva fatto esplodere le sue fragilità. Ed è inutile oggi cercare di capire come possa essersi infilata in una situazione del genere, diventando un agnello sacrificale del web, fidandosi della riservatezza di persone che la avevano già usata in quel video. Oggi conta inchiodare alle proprie responsabilità chi ha approfittato della sua debolezza, del suo errore. Un fascicolo è stato aperto in procura per «istigazione al suicidio». Ma si valutano anche le ipotesi di stalking e di violazione della privacy. Mentre è possibile l’apertura di un secondo fascicolo relativo ai diffusori del video, ancora ignoti.

Gli amici pregano di rimanere anonimi come anche di non continuare a divulgare il cognome di Tiziana. Il suo legale, Roberta Foglia Manzillo spiega che «il silenzio rappresenta l’unico modo per rispettare la memoria di una giovane vittima dell’utilizzo distorto di internet e dei social network». Gli amici rivelano che Tiziana non ha avuto una vita semplice. Il padre biologico «se ne è andato quando era appena nata», ha raccontato agli inquirenti la madre. «Ma a mia figlia non è mancato un affetto paterno, una figura di riferimento, ci ha pensato lo zio». Ci tiene a far capire che la figlia non era una sbandata, cresciuta senza guida. Ha sempre avuto amore e la forza di una madre che ha cercato di non farle mancare niente grazie al suo lavoro di dipendente del Comune di Casalnuovo. Tiziana aveva fatto il liceo classico e poi si era iscritta a giurisprudenza, senza portarla a termine. Negli ultimi tempi era chiusa in casa. Per distrarsi e stare lontana dal Paese aveva passato un periodo in Toscana da parenti, poi aveva lavorato nel bar dello zio a Napoli, zona Porto.

La famiglia ci tiene a far sapere che non c’entrano niente le spese legali che il giudice le aveva imposto di pagare a favore di alcuni convenuti (motori di ricerca e altri siti, che avevano già provveduto alla rimozione delle immagini). Circa 20 mila euro compensati da quanto avrebbe ricevuto da altri convenuti «soccombenti». Non è stato questo che l’ha portata a farla finita nella cantina di casa. Sono stati l’assedio, il giudizio, le offese ricevute. Quei clic letali come pietre.

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lastampa/Tiziana e quei clic come pietre. Caccia a chi ha diffuso il video MARIA CORBI – INVIATA A MUGNANO (NAPOLI)

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