Napoli Campione chiamato alla sfida dei grandi: l’atavica difficoltà di ripetersi

E’ legge non scritta, nello sport, che replicare la vittoria è più complicato della vittoria stessa e anche il Napoli campione deve valutarla

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E’ legge non scritta, nello sport in generale, che spesso replicare una vittoria sia più complicato della vittoria stessa e anche il Napoli fresco campione deve valutare questa difficoltà.

Questo per ragioni molto intuibili, che attengono – in buona parte – all’aspetto motivazionale: quando si è sul punto di compiere un successo sportivo, specie se per la portata per cui si sta materializzando esso pare assomigliare più a un’autentica impresa, il fuoco dentro si trova da sé e la barca rema tutta nella stessa direzione.

Questo perché – soprattutto se l’impresa di cui sopra la sta compiendo una squadra come il Napoli di Spalletti, che nessuno avrebbe mai pronosticato solo un anno fa come la schiacciasassi del campionato – quel trionfo può significare non solo un appuntamento con la storia per tutti i componenti della rosa e dello staff tecnico ma anche un significativo level up nella singola carriera di ognuno.

La strada si fa impervia paradossalmente dopo aver vinto.

Innanzitutto perchè c’è il rischio, che può innescarsi in maniera del tutto involontaria, di non avere più la stessa ferocia dell’anno precedente ed è lì che avviene la prima grande scrematura tra chi sarà destinato a una vita da campione e chi invece sarà stato solo una meteora di un momento fantastico.

Perché l’essere campione passa anche da una minuzia, da un’accortezza, da una cura maniacale del particolare che ti spinge a ricercare il successo come obiettivo finale sempre e a prescindere, a nulla curandoti del fatto di aver vinto l’anno prima o l’anno prima ancora.

Poi, naturalmente, dopo la vittoria cambiano anche le pressioni e le aspettative. Il Campione in carica sovente sarà considerato, ai nastri di partenza della stagione successiva, il favorito a ripetere il successo.

Lo è, senza ombra di dubbio, almeno finora il Napoli di Rudy Garcia, che ha conservato quasi per intero la propria ossatura, dovendo sacrificare – almeno per il momento – il solo quanto granitico Kim Min Jae.

A mutare sono pure, come accennato sopra, i sentimenti della tifoseria che vuole vedere il Napoli campione anche il prossimo anno

Che si aspetta dai propri beniamini il bis o quantomeno di lottarci seriamente.

Lì si compie il secondo momento di “selezione naturale” del top player: abituarsi non soltanto a mantenere alto il livello mentale verso sé stessi, ma essere in grado di gestirne la portata anche verso l’esterno, il che tradotto significa “non farsi schiacciare dalle trappole tendenziose del fuoco nemico né tanto meno dall’entusiasmo accresciuto del proprio”.

La chiave, più che altrove, la si può trovare nella serenità e nella consapevolezza di sé stessi, senza permettere mai che queste due componenti sfocino in protervia. La soluzione potrebbe essere quella spontanea naturalezza di Rudy Garcia e Mauro Meluso, due uomini che a primo acchito promanano normalità, compostezza, ordine.

Il Napoli Campione deve difendere il proprio titolo senza smarrire sé stesso e senza dimenticarsi soprattutto come è riuscito a vincere: con competenza, misura, intelligenza, furbizia e profilo basso. Snaturarsi potrebbe significare fallire in partenza. Restare fedeli al proprio credo, magari, il segreto di una tanto auspicata continuità.

E che De Laurentiis sia dello stesso avviso di quest’ultima considerazione, lo dimostrano le scelte finora fatte sul mercato: niente fuochi d’artificio, niente spese pazze, ma tanta scaltrezza, selezione e, perché no, attesa. Di fare la cosa giusta mettendo freni inibitori ai propri istinti.

La storia ci dirà quanti componenti del Napoli campione di Spalletti saranno, alla fine del percorso, eroi di una stagione o predestinati ad una gloria duratura.

Le statistiche delle squadre che hanno bissato la vittoria del campionato

Nel frattempo la storia, quella già scritta, ci restituisce un dato inconfutabile: dal 1993 ad oggi, solo Juventus, Milan ed Inter sono riuscite a bissare uno scudetto.

Il dato diventa ancor più intrigante ( o inquietante, scegliete voi) se pensate che per trovare una squadra “non strisciata” che sia riuscita a vincere almeno due scudetti di fila in Italia bisogna arrivare nientemeno che al 1949: ci riuscì, un attimo prima della Tragedia di Superga, il Grande Torino di Valentino Mazzola e compagni.

Praticamente 74 anni fa.

Statistiche che ci disegnano, più e meglio d’ogni altra parola, la storia del calcio italiano: un lungo monopolio diviso, come una pallina che ripete lo stesso tragitto, tra Milano e Torino, lasciando solo le briciole all’altra Italia, che più o meno vince una volta ogni 20 anni in media.

Il calcio globale, che si avvia alla forzata regola della sostenibilità dei conti – fatta eccezione per i luoghi desertici e forieri di ricchezze non contrastabili – non ci pare avviarsi all’epoca dei domini degli ultimi decenni ( vedasi l’Inter di Mourinho e Mancini, piuttosto che la Juve di Conte e Allegri).

Il Napoli sostenibile

E il Napoli, che della sostenibilità fa il proprio diktat da prima che andasse di moda, non si taglierà le vene ai polsi per fare la gara a chi arriva per primo.

Però primo ci è arrivato per davvero e ora quel tricolore cucito sul petto è chiamato a difenderlo sul terreno di gioco.

Riuscirà il clan De Laurentiis ad essere più forte anche della storia già scritta? Il dubbio è ben fondato e più che lecito, di certo agli azzurri va la palma di chi ha saputo meglio programmare in Italia nell’universo calcistico dell’ultimo decennio.

Che è garanzia, se non di successo assicurato, quantomeno d’avere le credenziali giuste per stare nell’arena.

In barba alla storia e agli albi d’oro.

Aurelio, se il Napoli diventerà campione un anno si e uno no, nessuno si prenderà collera. Firmato, un tifoso affezionato.

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