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L’eredità del silenzio: recensione de “L’estate che ho ucciso mio nonno”

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Cosa accade all’equilibrio di una famiglia quando il passato torna a sedersi prepotentemente a capotavola? Nel romanzo ‘L’estate che ho ucciso mio nonno’ (Bollati Boringhieri, 2025), Giulia Lombezzi ci trascina nella vita di Alice, un’adolescente di sedici anni costretta a vedere il proprio mondo stravolto dall’arrivo del nonno Andrea, convalescente e ingombrante.

Non è solo una questione di spazi fisici invasi, ma di un’invasione emotiva che colpisce in particolare Marta, la madre di Alice. Attraverso gli occhi sarcastici e fragili della protagonista, assistiamo a una trasformazione silenziosa ma devastante: mentre la madre si spegne, rifiutando il cibo e la propria voce, Alice cerca disperatamente di riempire quei vuoti, ingurgitando parole e insofferenza. Un romanzo potente che scava nelle dinamiche del patriarcato e nella ruggine dei rapporti irrisolti, dimostrando come a volte, per salvare il proprio futuro, sia necessario affrontare i fantasmi di chi ci ha preceduto.

Alice è adolescente e ama la sua famiglia più di ogni altra cosa, in particolare sua madre che si ritrova la vita stravolta quando deve accogliere nella loro casa suo padre Andrea, nonno di Alice, convalescente dopo un’operazione all’anca
(ed è inutile essere ipocriti, la vita viene stravolta quando ci si deve occupare di qualcuno a tempo pieno dedicandogli totalmente la tua esistenza)

Da subito, Alice osserva cambiamenti in sua madre.
Marta, sua madre, non ha mai amato mangiare più di tanto, ma questa volta è diverso, questa volta c’è Alice che guarda cosa sta accadendo e c’è decisamente qualcosa che non va.

Una sofferenza, o meglio un’insofferenza a qualcosa per la quale Alice non riesce a trovare spiegazione, o meglio non riesce a vederla da subito
Sarà il passato che arriverà ad aiutarla, la ricerca dell’origine di quel qualcosa, che va oltre lo sguardo assente di sua madre e le sue poche parole perché a sormontarle sono quelle di Andrea, un uomo, suo nonno che nei suoi discorsi e nei modi di certo non fa sconti.
Alice ingurgita quelle parole e quell’insofferenza come quel cibo che la aiuta a riempire il vuoto che ha dentro

Un romanzo che è l’immagine chiara, netta, e senza filtro del mal3 che può fare ad un adolescente un passato che pesa tanto sulla vita di sua madre, asservita totalmente alla sua famiglia d’origine, specchio dell’espressione più forte del patriarcato.

Ho amato il sarcasmo di cui si dipingono le parole di Alice, voce narrante di tutto il romanzo, che lotta con tutto il coraggio e nello stesso tempo la fragilità di una ragazza di 16 anni che vuole salvare il suo futuro dalla ruggine che può lasciare l’acqua stagnante su ciò che non è mai stato risolto nel proprio passato.

Ogni singola pagina è un viaggio nelle emozioni e nei comportamenti di generazioni a confronto ed è forse proprio questo uno degli elementi che più di tutti mi ha tenuto incollata a questo meraviglioso romanzo.01

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