Il re di Spagna, Felipe: “Resteremo uniti”

L’urlo indipendentista dei catalani non si placa. Oltre trecentomila persone scendono in piazza per lo...

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L’urlo indipendentista dei catalani non si placa. Oltre trecentomila persone scendono in piazza per lo sciopero generale e protestano contro le violenze subite in occasione del voto di domenica. 

Il re Felipe rompe il silenzio, parla di “inaccettabile slealtà” da parte dei secessionisti e conferma che “resteremo uniti”. Come racconta Francesco Olivo dopo le tensioni del referendum i poliziotti spagnoli vivono in uno stato d’assedio: cacciati dagli hotel e insultati per strada. Mario Deaglio ragiona invece sulle conseguenze di un’ipotetica indipendenza e sottolinea la debolezza economica dei separatisti.

Il re attacca la Catalogna: “Una slealtà inaccettabile”

Felipe rompe il silenzio e usa toni duri: ora va ristabilito l’ordine. Migliaia in strada per lo sciopero generale: siamo già indipendenti

BARCELLONA – C’è ancora tanta gente nelle piazze della Catalogna quando, alle nove di sera, compare in tv il re di Spagna. Dopo un silenzio durato a lungo e che ha fatto discutere, Filippo VI manda il suo messaggio al regno, a quella parte che lo riconosce, ma soprattutto a quel territorio che crede di diventare presto una repubblica. I toni del monarca sono durissimi e incendiano un fuoco già assai vivo: «Il governo catalano ha violato la costituzione e lo statuto d’autonomia, chiedendo illegalmente l’indipendenza». Il messaggio è chiaro sin dal timbro della voce: non c’è spazio per una trattativa con il processo secessionista in moto.

Chi si aspettava un messaggio se non di apertura, per lo meno con una proposta di dialogo resta deluso. Il monarca, garante dell’unità del Paese, si scaglia ferocemente contro quelli che la mettono in discussione: «Si tratta di una slealtà inammissibile – prosegue con un piglio inedito – la Generalitat rompe la convivenza della società e sta vulnerando i principi democratici. Ma la Catalogna continuerà a far parte della Spagna». Parole che sconcertano l’ala più dialogante di Madrid (il Partito socialista) e che a Barcellona si leggono come un via libera per le misure più dure: sospensione dell’autonomia e pure qualcosa di peggio (tintinnare di manette risuona nel palazzo della Generalitat). La sindaca di Barcellona Ada Colau attacca il re: «Discorso irresponsabile e indegno per un Capo di Stato».

Un messaggio ai catalani da parte del re c’è stato, ma soltanto a quelli che «si sentono inquieti per la condotta irresponsabile» del governo di Barcellona, e quindi ai non indipendentisti: «A loro voglio dire: non siete soli». Un appello al dialogo arriva soltanto alla fine del discorso, ma non è diretto a quei milioni di catalani che la Spagna potrebbe aver già perso «almeno da un punto di vista sentimentale», come dice l’ex presidente catalano Artur Mas. La massa indipendentista non può certo farsi convincere da parole tanto dure. La piazza quasi si accende appena finisce il discorso: «È la prova che siamo già un altro Stato».

Per Rajoy è un assist importante in una giornata che aveva segnato, al contrario, la fine della santa alleanza dei partiti contro il secessionismo. I socialisti sono arrivati, dopo molte timidezze, a condannare la gestione dell’ordine pubblico del giorno del referendum. Lo hanno fatto proponendo una mozione di sfiducia contro la vice di Rajoy, quella Soraya Saenz de Santamaria considerata la mente delle operazioni contro la consultazione illegale. Vista la situazione, il Partito popolare, che governa senza maggioranza assoluta, aveva messo le mani avanti: se non ci sono tutti i partiti non possiamo sospendere l’autonomia catalana. Ora però c’è un alleato importante per reagire alla proclamazione dell’indipendenza prevista, per i prossimi giorni (forse domenica).

Ieri è stata un’altra giornata senza respiro per Barcellona. Gli indipendentisti hanno un proposito esplicito: mobilitazione permanente per sfruttare l’onda e farsi notare dal mondo. A questo scopo rispondeva l’appuntamento di ieri, il primo dopo la domenica brutale. Più che uno sciopero, è stata la serrata di quello che vuole essere chiamato come un «Paese». Una protesta generalizzata, con la collaborazione attiva del governo catalano, contro la repressione agli elettori del referendum (anche se sul bilancio ci sono dei dubbi: «La cifra è stata gonfiata» dice «El País» con un’inchiesta). «Fermiamo tutto» si era detto e l’ordine è stato rispettato. Trattori per le vie, blocchi alle autostrade, chiuse le scuole, fermi i mezzi pubblici.

Era difficile ieri anche trovare un bar aperto. Chi non aveva abbassato le serrande veniva a volte criticato, altre costretto a farlo. Le grandi catene che non hanno rispettato lo sciopero sono state sfidate: nel Corte Inglés, i grandi magazzini che più spagnoli non si può, entravano e uscivano senza sosta finti clienti con le «esteladas», le bandiere indipendentiste. Per strada tantissima gente, manifestazioni spontanee spuntavano da ogni lato. Poi a mezzogiorno tutti davanti alla sede storica dell’università sulla Gran Via, almeno centomila persone. Scene che si ripetono in tutti i centri della Catalogna. Si va avanti così fino a notte fonda. Un’altra giornata trascorsa senza sapere cosa succederà domani.

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