Brasile: Lula condannato anche in appello per corruzione

IL VERDETTO D’APPELLO – Tramonta in un’aula di tribunale la speranza di Lula di essere rieletto per la...

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IL VERDETTO D’APPELLO – Tramonta in un’aula di tribunale la speranza di Lula di essere rieletto per la terza volta alla guida del Brasile. L’ex presidente-operaio è stato infatti condannato oggi a 12 anni e un mese di reclusione dalla Corte di appello di Porto Alegre per corruzione in uno dei processi dell’inchiesta ‘Lava Jato’ – la Mani Pulite del paese sudamericano, lo scandalo per i fondi neri del colosso petrolifero Petrobras

Un altro verdetto sfavorevole. L’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva non potrà ricandidarsi alla guida del Paese. Le elezioni sono previste per il prossimo ottobre ma il Tribunale Federale di Porto Alegre ha confermato, in appello, la sentenza di primo grado e condannato Lula a 12 anni di galera, dai 9 comminati in precedenza. L’accusa è “corruzione e riciclaggio”.
In altre stagioni politiche si sarebbe definita “l’ora della verità”. Ma quella attuale, in Brasile, è piuttosto una resa dei conti.

Il Paese guidato da Michel Temer è in piena campagna elettorale. In vista del voto di ottobre, il veleno di discredito che governo e opposizione si inoculano attivando continue macchine del fango ne garantisce poca, di verità.
La giornata di oggi assume un valore significativo in quanto Lula, con il 40% di consensi è il candidato largamente favorito.

Una battaglia giudiziaria quindi, ma soprattutto politica. Non a caso sono migliaia i manifestanti accampati a Porto Alegre, città nella quale si è svolto il processo d’appello. Il casus belli è un attico di 216 metri quadrati a Guarujà , nello Stato di San Paolo, di cui Lula avrebbe potuto disporre. “L’appartamento tangente” sarebbe stato messo a disposizione da una società, Oas, impresa di costruzioni che avrebbe ottenuto appalti da parte di Petrobras, il colosso energetico brasiliano, controllato dal Pt (Partito dei lavoratori), di Lula.

«Tutto falso» – secondo Lula, che non è mai stato intestatario di quel bene. Insomma il più classico degli scontri politici in campagna elettorale.
L’ex presidente Lula, pochi giorni fa, ha dichiarato: «Non voglio essere candidato per evitare di essere condannato. Voglio essere assolto per essere candidato alla presidenza del Brasile». Ora però sarà costretto a ricorrere
al Supremo tribunale federale (la Corte costituzionale) o al Tribunale supremo di giustizia (la Cassazione).

L’ex presidente Dilma Rousseff, destituita per impeachment nel 2016, parla di «una serie di “golpe” istituzionali, messi in atto dalle consorterie brasiliane: il primo è stato, appunto, l’impeachment, il secondo la riforma del lavoro anticostituzionale e il prossimo obiettivo è la riforma delle pensioni. Una condanna di Lula – ha spiegato Rousseff – si configura come il prosieguo di questa strategia politica».

Sono lontani gli anni del boom economico brasiliano, della stabilità politica e della maggiore equità redistributiva.
Il Brasile dopo una lunga e pesante recessione rivede un Pil in leggero rialzo (+0,7% nel 2017) ma quest’ennesimo scontro politico giudiziario non rasserena gli animi degli investitori. Intanto la fiducia dell’elettorato scende ai minimi storici, meno del 10% dei brasiliani dà credibilità ai componenti del Congresso.

vivicentro.it/CRONACA
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