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Adnkronos) – "Nel mondo nuovo e ferino che sta prendendo forma sono le distanze, con la loro improvvisa mutevolezza, a fare la differenza.Distanze che si accorciano e si allungano in modi fin troppo erratici e repentini, mettendo a soqquadro un sistema di certezze che si dissolve sotto l’effetto di cambiamenti che avanzano quasi ogni giorno a passo di carica.
Così, si avvicinano le iperpotenze, forti delle loro dimensioni imperiali.E si allontanano le due sponde atlantiche, dimentiche della loro storia e quasi ansiose di rivolgere altrove il proprio sguardo.
Per quanti hanno creduto nel vincolo dell’atlantismo si annunciano così giorni difficili e amari.Non così sorprendenti, però. L’allontanarsi di quelle due sponde riflette infatti tendenze profonde ancorché finora pudicamente nascoste.
E libera d’un tratto un sentimento di reciproca incomprensione che fino a qualche tempo fa si poteva pensare di nascondere sotto la coltre di una retorica nutrita di buoni sentimenti e meno buoni equivoci.S’intende che la svolta nasce al di là dell’oceano. La vittoria di Trump dà voce infatti a due stati d’animo apparentemente opposti.
Da un lato una rinnovata vocazione imperiale, insofferente di ogni debito che si debba pagare ai propri alleati e propensa a far di testa sua, senza vincoli di sorta.Dall’altro l’inedito ritorno verso quelle forme di isolazionismo che a suo tempo, quasi un secolo fa, Roosevelt era riuscito a domare con così tanta fatica e tenacia.
Si delinea a questo punto una sorta di “impero provinciale”.Ricco di pretese di comando, eppur povero di tutte quelle assunzioni di responsabilità che vi si dovrebbero solitamente accompagnare. E’ piuttosto ovvio che l’Europa finirà per essere la prima vittima di questa deriva.
E infatti la distanza più vistosa, quasi una crepa, è quella che già in questi giorni divide le opposte correnti dell’europeismo sulle priorità ed esigenze del nuovo contesto globale.C’è chi scommette su di un nuovo spirito comunitario, anche strategico, capace di ritrovare le virtù del primo dopoguerra a più di mezzo secolo di distanza.
Chi pensa bene di rincorrere gli Stati Uniti confidando in una (assai improbabile) resipiscenza dell’atlantismo.Chi si illude di poter affrontare in ordine quasi sparso i dilemmi posti dai nuovi equilibri.
E chi più semplicemente spera e aspetta tempi migliori, magari confidando che il diavolo dell’America trumpiana sia meno inquietante di come è apparso in questi suoi primi giorni. Attese comprensibili e speranze legittime, per carità.Ma non troppo aderenti al principio di realtà.
Infatti la nuova America che abbiamo visto all’opera all’indomani dell’insediamento di Trump non sembra una di quelle improvvisate che poi lasciano il passo alle antiche tradizioni.Somiglia piuttosto a una di quelle novità strategiche destinate a condizionare per molto tempo, e molto in profondità, gli equilibri globali.
E cioè una di quelle svolte che non consentono a nessuno di recitare stancamente il copione di prima.Si apre insomma davanti all’Europa un bivio che non sarà facile da attraversare.
Si dovrà evitare, per quanto possibile, di radicalizzare ancora di più i rapporti con l’altra metà dell’occidente che fu. Ma non ci si potrà illudere che la frattura di questi giorni non comporti conseguenze strategiche, assunzioni di responsabilità e momenti di solitudine.E cioè tutte quelle circostanze che impongono di fare un salto rispetto alle proprie confortevoli abitudini di un tempo.
E’ questo il sottofondo della discussione di questi giorni, compresa l’amara necessità di dover provvedere in prima persona a una strategia di difesa che fino ad ora si era lasciata comodamente appoggiata sulle spalle del nostro alleato d’oltreoceano.Tema che la realtà si incarica di porre all’ordine del giorno e che la Von dar Leyen cerca come può di trascrivere col sofferto consenso dei singoli paesi. In altre parole, l’Europa si dovrà unire di più e si dovrà armare di più.
Dovrà liberarsi di certi suoi egoismi nazionali e di certe sue illusioni fin troppo ireniche.Non per muovere guerra, è ovvio.
Ma per evitare di trovarsi esposta come un bersaglio troppo facile di fronte alle incursioni assai poco amichevoli di un mondo che fiuta tutte le debolezza altrui cercando di trarne per sé il maggior vantaggio possibile.Purtroppo siamo ormai entrati in un saloon e non sarà il caso di aggirarci in quei paraggi armati solo del nostro ottimismo sulle buone intenzioni degli altri avventori". (di Marco Follini) —politicawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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