(Adnkronos) – Una riduzione superiore all’80% del rischio di progressione di malattia o di morte nei pazienti con un tumore al polmone aggressivo in fase avanzata, la forma non a piccole cellule (Nsclc) di stadio III non asportabile e con mutazione del gene Egfr.Il risultato ottenuto con la terapia al bersaglio osimertinib è fra i dati accolti con più entusiasmo al Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (Asco), in corso a Chicago.
Lo studio si chiama ‘Laura’ ed è stato presentato in Sessione plenaria insieme a un altro trial, ‘Adriatic’, sull’uso dell’immunoterapia con durvalumab nel tumore al polmone a piccole cellule in stadio limitato.In questo caso il rischio mortalità cala del 27%. Osimertinib – spiega in una nota il gruppo farmaceutico anglo-svedese AstraZeneca – è il primo e unico inibitore di Egfr e terapia mirata che mostra un beneficio nel setting di stadio III non resecabile, prolungando di più di 3 anni la sopravvivenza libera da progressione di malattia (Pfs).
Nel dettaglio, i risultati positivi dello studio di fase III Laura, pubblicati contemporaneamente su ‘The New England Journal of Medicine’, mostrano che osimertinib ha prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della Pfs nei pazienti con Nsclc in stadio III non resecabile e con mutazione del recettore del fattore di crescita epidermico Egfr – con delezioni dell’esone 19 o mutazione dell’esone 21 – dopo chemio-radioterapia (Crt), rispetto a placebo dopo Crt.Osimertinib ha ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte dell’84% rispetto a placebo, come valutato dal comitato scientifico indipendente di revisione.  La sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 39,1 mesi nei pazienti trattati con osimertinib, rispetto a 5,6 mesi nel gruppo placebo.
Un beneficio in termini di Pfs clinicamente significativo è stato osservato in tutti i sottogruppi predefiniti tra cui sesso, etnia, tipo di mutazione Egfr, età , storia di tabagismo e Crt precedente.Coerentemente, i dati di sopravvivenza globale hanno mostrato un andamento favorevole con osimertinib, benché non fossero maturi al momento dell’analisi.
Lo studio continuerà a valutare la sopravvivenza globale come endpoint secondario. Parla di “straordinari risultati” Filippo de Marinis, direttore della Divisione di Oncologia toracica dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano e presidente dell’Aiot (Associazione italiana di oncologia toracica).Osimertinib ha prodotto “un risultato senza precedenti” contro il rischio di progressione di malattia o di morte, sottolinea. “Sulla base di questi dati, osimertinib dovrebbe diventare il nuovo standard di cura per questi pazienti”, ritiene lo specialista. “In questo modo – evidenzia Sara Ramella, direttore di Radioterapia oncologica e professore ordinario di Diagnostica per immagini e Radioterapia dell’università Campus Bio-Medico di Roma/Fondazione Policlinico universitario Campus Bio-Medico – potremo offrire ai pazienti in stadio localmente avanzato un trattamento mirato in un setting ad intento curativo, in grado di ottimizzare l’efficacia della chemio-radioterapia.
Lo stadio III del Nsclc è un setting complesso – precisa l’esperta – che non può prescindere dal coinvolgimento di un team multidisciplinare che comprenda oncologo medico, chirurgo e oncologo radioterapista per l’adeguata identificazione e la corretta gestione dei pazienti”.  Quanto all’immunoterapico durvalumab – prosegue la nota – nello studio di fase III Adriatic ha ottenuto miglioramenti statisticamente significativi e clinicamente rilevanti del duplice endpoint primario di sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da progressione rispetto a placebo, nei pazienti con tumore a piccole cellule di stadio limitato (Ls-Sclc) non in progressione dopo lo standard di cura attuale rappresentato dalla chemio-radioterapia concomitante.  I risultati dell’analisi ad interim pianificata mostrano che durvalumab ha ridotto appunto del 27% il rischio di morte rispetto a placebo.La sopravvivenza globale mediana è stata di 55,9 mesi per durvalumab rispetto a 33,4 mesi per placebo.
Il 57% dei pazienti trattati con durvalumab è vivo a 3 anni, rispetto al 48% del gruppo placebo.Durvalumab ha inoltre ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte del 24% rispetto a placebo.
La Pfs mediana è stata pari a 16,6 mesi per i pazienti trattati con durvalumab, rispetto a 9,2 mesi nel gruppo placebo.Si stima che il 46% dei pazienti trattati con durvalumab non abbia presentato progressione di malattia a 2 anni rispetto al 34% con placebo.
Il beneficio in termini di sopravvivenza globale e di sopravvivenza libera da progressione è risultato coerente nei principali sottogruppi predefiniti di pazienti, che comprendevano età , sesso, etnia, stadio di malattia alla diagnosi, precedente radioterapia ed eventuale irradiazione cranica profilattica. “Era da oltre 40 anni che non assistevamo a cambiamenti nello standard della terapia sistemica del tumore del polmone a piccole cellule di stadio limitato – osserva de Marinis – Adriatic è il primo studio a evidenziare progressi con l’aggiunta dell’immunoterapia dopo la tradizionale chemio-radioterapia in questi pazienti.I risultati rappresentano una svolta per questa malattia altamente aggressiva in cui i tassi di recidiva sono elevati, con solo il 15-30% dei pazienti vivo a 5 anni.
Durvalumab ha già dimostrato un beneficio nella malattia di stadio esteso, ora sono importanti i progressi nello stadio limitato.Durvalumab è la prima terapia sistemica, dopo decenni, a mostrare un miglioramento della sopravvivenza in questi pazienti e dovrebbe diventare un nuovo standard di cura in questo setting”. “I risultati degli studi Laura e Adriatic evidenziano come le terapie innovative possano davvero cambiare le prospettive di cura dei pazienti – commenta Silvia Novello, presidente Walce (Women Against Lung Cancer in Europe), ordinario di Oncologia medica all’università degli Studi di Torino e responsabile Oncologia medica all’ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano – Più di un paziente su 6 con tumore del polmone non a piccole cellule riceve la diagnosi di malattia di stadio III non resecabile e circa il 15% presenta la mutazione di Egfr.
Questi sono i pazienti candidabili a ricevere la terapia mirata con osimertinib, ora anche in questo stadio di malattia.Dall’altro lato, il tumore del polmone a piccole cellule finora ha ricevuto meno attenzione rispetto ad altre neoplasie, anche a causa dello stigma sociale, riconducibile alla storia di tabagismo nella maggioranza dei pazienti.
Il notevole miglioramento di sopravvivenza globale osservato con durvalumab dopo chemio-radioterapia concomitante è in grado di trasformare il trattamento della malattia anche nello stadio limitato, dopo gli importanti risultati già dimostrati dall’immunoterapia nello stadio esteso”. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Lascia un commento