La domanda di destra senza offerta GIOVANNI ORSINA*

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La crisi del berlusconismo nel 2011, il governo Monti, l’incapacità del Partito democratico di vincere le elezioni del 2013, il successo e la durata del Movimento 5 stelle, il neocentrismo di Renzi: questi cinque elementi – in ordine di apparizione – ci hanno fatto credere che la fase ventennale dello scontro fra destra e sinistra fosse ormai conclusa, e che si stesse aprendo l’epoca di una nuova contrapposizione fra moderatismo europeista e populismi anti-europeisti. Bene: mi chiedo se sia ancora così. O se invece fra gli elettori, per quanto non ancora nel mondo politico, non stia in realtà riacquistando peso la più classica delle distinzioni fra conservatori e progressisti. 

Leggere il Family day alla luce della divisione fra laici e cattolici è sempre possibile, certo. Ma mi pare anche una lettura un po’ vecchia – come se fossimo ancora negli anni Settanta. Altrettanto certamente, non tutti nello schieramento conservatore si sono opposti alle unioni civili, e non tutti i progressisti sono favorevoli. Nel momento in cui si pronunciano parole come «famiglia» e «tradizione», tuttavia, è impossibile non sentire l’odore consueto della dialettica fra destra e sinistra. E la piazza di sabato quelle parole non soltanto le ha pronunciate – ma le ha pronunciate in una forma esplicitamente e robustamente politica. 

Un discorso analogo potrebbe farsi per quel che riguarda il tema più importante oggi in agenda, l’immigrazione. Anche questo è un argomento che tocca i nodi più sensibili del conflitto fra progressisti e conservatori: identità, ordine, interesse nazionale, solidarietà, accoglienza. E non solo: è il terreno sul quale si sta manifestando oggi una prepotente richiesta di protezione che – piaccia o non piaccia – sposta il baricentro dello spazio pubblico verso destra. Non per caso il governo Renzi ha deciso di andare avanti sulle unioni civili, ma ha rinunciato a depenalizzare l’immigrazione clandestina. Quando la globalizzazione entra in crisi perché si spostano i soldi, le merci e il lavoro, del resto, alla crisi si può rispondere o da destra o da sinistra, e forse più facilmente da sinistra che da destra. Ma quando entra in crisi perché si spostano le persone, rispondere da sinistra diventa assai difficile – se non impossibile. 

Se da un lato stanno risalendo in agenda i temi tradizionali della destra e della sinistra, dall’altro appare alquanto depresso – almeno per il momento – l’oggetto sul quale negli anni passati si sono scontrati centristi e populisti: l’Europa. Le elezioni politiche del 2013 sono state segnate prima di tutto dal confronto fra Monti e Grillo, fra l’austerità tecnocratica e le sofferenze della «gente». A che punto sono oggi i due poli di quel conflitto? Non se la passa troppo bene nessuno dei due, a quel che sembra: l’Europa è in evidente difficoltà, e in Italia europeisti di peso politico non se ne trovano più; ma la vicenda greca ha pure seriamente indebolito le posizioni «no euro». E la voce grossa con Bruxelles nel nome della spesa in deficit la sta facendo da Palazzo Chigi il leader del Partito democratico. 

Stiamo dunque per tornare a una dialettica «fisiologica» fra destra e sinistra? Le condizioni ci sarebbero, ma è presto per dirlo. In primo luogo perché l’agenda politica cambia ormai a gran velocità. Sono in molti a sostenere, ad esempio, che la compatibilità fra i fondamentali economici italiani e la permanenza nella moneta unica non sia affatto scontata. Se dovesse malauguratamente ripresentarsi una crisi del debito sovrano, la frattura fra europeisti e anti-europeisti si riattiverebbe di colpo. Ma soprattutto perché alla domanda di destra che monta dal paese non corrisponde un’offerta solida e credibile. La Lega di Salvini è cresciuta grazie al montare di quell’onda, ma pare aver toccato ormai il suo apice: quelli che domandano saranno pure di destra, ma certi toni evidentemente non li apprezzano. A chi gli chiede il profilo del futuro leader del centrodestra, Berlusconi continua a recitare il proprio curriculum. Sia la Lega sia Forza Italia, si dice, sono divise al proprio interno fra «falchi» e «colombe». Ma, per quel che ho detto finora, non si capisce su quali argomenti concreti avvenga questo conflitto «ornitologico», che sembra piuttosto essere uno scontro di spazi e di potere. Del resto, da sempre l’elaborazione culturale a destra è quel che è – o meglio: che non è. E lo stesso dicasi per la classe dirigente. 

Eppure, quel che si muove a destra non è affatto irrilevante. Ne va del futuro del sistema politico italiano. E ne va di come saranno soddisfatte certe esigenze del Paese. Esigenze che, se insoddisfatte o soddisfatte male, potrebbero rivelarsi assai pericolose. 

 
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