Affonda il barcone politico italiano: muore, a 25 anni, il Maggioritario. Rianimato il Proporzionale.
Come spiega Francesco Bei l’approvazione del nuovo sistema di voto “dopo 25 anni archivia l’era maggioritaria facendoci tornare alla Prima Repubblica”.
C
aro, vecchio proporzionale
Dopo 25 anni archiviato il sistema maggioritario: si torna alla Prima Repubblica. Tra liturgie estenuanti e convergenze parallele. È la rivincita della noia
ROMA – Evviva torna la proporzionale! Dopo quasi 25 anni di maggioritario, la Seconda Repubblica si appresta ad archiviare la Terza ritornando alla Prima. Good bye, Lenin! Come nel film sul figlio che fa rinascere artificialmente la Ddr per non turbare la madre appena uscita dal coma, nell’Italia 2017 potremmo finalmente dire: Good bye Cariglia, Altissimo e Sullo.
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È un gusto vintage che già si assapora, pensando alle prossime infinite consultazioni al Quirinale per formare il nuovo governo di coalizione. Manca solo la réclame del Biancosarti e la pelata di Telly Savalas che dai manifesti invita a gustare il «drink vigoroso». La Seconda Repubblica, chiosa Marco Follini (esegeta delle stagioni Dc) nel suo ultimo libro Noia, politica e noia della politica, in fondo non è stata altro che «un campo di battaglia in cui si sono affrontati politici noiosi e politici pop e questi ultimi hanno prevalso». Adesso è la rivincita dei noiosi. Si torna finalmente alla noia del proporzionale, con le sue liturgie estenuanti, le sue lentezze, il suo rococò di formule politiche, i suoi «preamboli», le sue «convergenze parallele». «La verità – argomenta al contrario Rino Formica, ex ministro socialista nella prima Repubblica e acuto osservatore della politica – è che è giunto alla fine un ciclo politico totalmente sciupato. È finita l’illusione che si potesse fare a meno dei partiti politici, tenuti in piedi soltanto come organizzatori di eventi». Formica prevede uno sbocco molto particolare alla transizione in corso, tutt’altro che vintage e con un protagonista ancora fuori dai radar. Ma lo sveleremo alla fine.
Intanto a celebrare il funerale della stagione iniziata nel 1993 con la legge Mattarella c’è uno che al maggioritario, con granitica cocciutaggine, non ha mai creduto. Voce clamante nel deserto, Paolo Cirino Pomicino oggi si gode lo spettacolo: «Siamo alla fine della Seconda Repubblica, ma è ovvio che si doveva arrivare alla proporzionale dopo la sconfitta del 4 dicembre al referendum. Se resti in un sistema parlamentare e non presidenziale, lo sbocco è inevitabile. La proporzionale non è un lusso, è una necessità quando ci sono quattro o cinque opzioni politiche diverse. Il maggioritario funziona infatti soltanto quando la società è di per sé bipartitica, come in Inghilterra e negli Stati Uniti, altrimenti in Italia determina alleanze innaturali e di conseguenza il trasformismo». Una tesi che condivide Aldo Tortorella, uno dei grandi vecchi del Pci ancora molto attivo nel provare a riunificare i vari lacerti della sinistra. «Al contrario di quanto comunemente si dice, la proporzionale favorisce l’aggregazione. È una balla dire che disgrega il sistema politico e fa nascere i partitini: nella Prima Repubblica la Democrazia cristiana e Pci insieme facevano l’80 per cento del Parlamento, era praticamente un bipartitismo». Certo, quei partiti lì, di massa, con centinaia di migliaia di iscritti, adesso sono solo un ricordo. «Ma il punto – obietta Tortorella – è proprio questo: se vuoi vincere con la proporzionale non ci sono trucchi, devi per forza dar vita a un partito forte, radicato sul territorio, una democrazia organizzata.
A Milano ai miei tempi avevamo 130 sezioni del Pci, oggi in città i circoli del Pd attivi saranno 4 o 5. Inoltre la proporzionale funziona come antidoto al trasformismo, un fenomeno praticamente sconosciuto nella prima Repubblica». E anche la sinistra, spezzettata tra Pisapia, gli scissionisti Pd, Fratoianni, Possibile, ecc, farebbe bene a sfruttare la nuova legge e usarla a suo vantaggio come un’opportunità. A partire dalla soglia di sbarramento al cinque per cento: «Se non fanno una lista unitaria rischiano di scomparire. Chisseneimporta dei dirigenti, il problema è per quella parte di opinione pubblica che, non sentendosi rappresentata, può finire nell’astensione o nei Cinque stelle. Per questo la soglia al 5% può funzionare per costringerli tutti a sedersi nella stessa stanza e mettere fine alla frammentazione». E l’effetto della tagliola del 5 per cento sui cespugli del centro? Cirino Pomicino non ne fa un dramma: «Premesso che nella Prima Repubblica non c’erano gli sbarramenti e questo consentiva ai partiti laici come i repubblicani, i radicali, i liberali, di arricchire il Parlamento con la loro cultura politica, noi tifosi del centro ci stiamo organizzando. Prevedo un governo tripartito frutto dell’alleanza fra Pd, Forza Italia e una gamba di centro. Come faremo? Siamo cattolici, a noi ci aiuta lo Spirito Santo».
Chi invece prevede un futuro comunque burrascoso per l’Italia nella prossima legislatura, proporzionale o meno, è Rino Formica. E dunque è il momento di svelare la previsione sul caos rigeneratore che ci attende. «L’Europa ci aiuterà fino al voto e ci accompagnerà per un altro anno. Poi nel 2018 ci sarà un drammatico scioglimento delle Camere e finalmente avremo la vera soluzione europea alla crisi italiana: arriverà Mario Draghi al governo e da Roma guiderà l’Italia per conto dell’Ue, con il vincolo esterno di un processo federativo unitario innescato dalla Germania». Altro che Biancosarti.
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