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Macron vs Le Pen, il duello che trasforma la Francia: il piano di Macron

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PARIGI – «Vogliamo ottimismo e speranza per il nostro Paese e per l’Europa». Quando, alle dieci di sera, Emmanuel Macron interviene, per ultimo tra i candidati di testa, davanti a una folla adorante, in un tripudio di tricolori francesi e cori entusiasti, quando si augura tra le grida di approvazione «di diventare il vostro presidente», consapevole che i due partiti maggiori che hanno governato la Francia nella Quinta repubblica, Ps e destra neogollista, sono per la prima volta fuori gioco, sottolinea: «Oggi si volta pagina».

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È

compiaciuto: «In anno – scandisce – abbiamo cambiato volto alla vita politica del Paese». E aggiunge ai «patrioti»: «Sarò presidente contro la minaccia dei nazionalisti». Era una scommessa, un azzardo, una sfida a cavallo tra presunzione e follia. Un candidato senza esperienza, mai eletto a niente, un outsider nemmeno quarantenne trascinato in politica da François Hollande e arrivato al voto col sostegno di un movimento nato giusto ad aprile dell’anno scorso. Ha osato e ha indovinato i tempi, benedetto dalle scelte degli altri che sembravano fatte apposta per aprirgli un’autostrada. E ha avuto ragione lui: sembra dirlo, dietro quel sorriso a tutta faccia, mentre alza le braccia al cielo tenendo per mano la moglie Brigitte, salita sul palco con lui.

Si aprono due settimane cruciali: Le Pen si autodefinisce «candidata del popolo» per sottolineare che il giovane pianista con studi all’Ena e esperienza di lavoro come banchiere da Rotschild, è il rappresentante delle odiate élites. Un’operazione favorita dal rassemblement che, da destra a sinistra, si sta già coagulando attorno al suo nome, il tutti contro la donna nera che lei cercherà di sfruttare a suo favore.

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Popolo-élites. Sistema-antisistema. Frontiere chiuse o Europa unita. Protezionismo o liberismo. Sono due idee di Francia opposte quelle che si confrontano. Entrando nel suo blindatissimo comitato, ieri, alla Fiera di Parigi, supporter e militanti ricevevano magliette e spille griffate Macron, ma anche due bandiere: quella francese e il drappo blu con le stelle in circolo dell’Europa. E lui la cita varie volte nel suo discorso, e gli battono le mani quando parla di «rilanciare la costruzione europea», perché l’aveva detto in campagna elettorale: «Abbiamo bisogno dell’Europa e quindi la cambieremo».

Parla di una Francia più aperta e flessibile, riformata e svecchiata, senza carriere eterne (propone di mettere un limite ai mandati: «non sarò in politica tra vent’anni», dice di sé), capace di portare in politica volti nuovi, che per primi, promette, siederanno nella sua maggioranza. Vuole abbattere la spesa pubblica di 60 miliardi, tagliare i dipendenti pubblici, alleggerire le tasse sulla casa, inaugurare un grande piano di investimenti pubblici. Ai giovani che lo hanno seguito, ai ragazzi che ieri affollavano il comitato con t-shirt colorate col suo nome, promette speranza, futuro, scuole riformate. L’unico vero brivido, in campagna elettorale, l’ha vissuto quando il tema della sicurezza e del terrorismo hanno fatto violentemente irruzione, e le destre di Fillon e Le Pen sono più convincenti ad affrontarlo: ha provato a darsi un tono, a garantire chi pensa che non abbia le spalle abbastanza larghe che sì, ce la può fare.

Ora, la scommessa è il 7 maggio, ma ancora di più sarà a giugno. Quando ci saranno le legislative: perché senza un vero partito dietro, molti osservatori dubitano che possa, anche se eletto, avere una maggioranza. Lui allontana il sospetto e spiega che in tutte le 577 circoscrizioni ci saranno candidati di «En marche!», per metà donne, «e i francesi sono coerenti, ci daranno la maggioranza». Per ora, la prossima battaglia è fra due settimane.

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