Dopo le tensioni dei giorni scorsi, vacilla anche l’accordo sul nuovo sistema di voto: le liste bloccate creano malumori tra i Cinque Stelle e nel Pd. L’approvazione del testo non appare per nulla scontata.
Anche nel Pd tanti dubbi sul voto. Renzi contestato sulle liste bloccate
Paura tra i deputati: 100 posti in meno e gli iscritti non decideranno i nomi
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OMA – «Ma se non abbiamo tempo di fare la campagna elettorale come si fa a tenere le parlamentarie? Suvvia…». Lo sbuffo di un toscanaccio ben inserito nella partita del voto conferma quanto i renziani vanno dicendo sulle famose primarie di collegio inaugurate nel 2013 da Bersani per tenere testa ai grillini quando era in voga il porcellum. Pratica cui non si sottoposero quelli garantiti dal «listino bloccato» del segretario, tra cui Roberto Speranza, «che non fece le primarie e ora parla di nominati», ricorda caustico David Ermini replicando ad una delle bordate giornaliere dell’ex Pd.
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Non è secondario il fatto che Renzi e compagni oggi non abbiano alcuna intenzione di replicare quella giostra (dicono che le liste saranno fatte dalle Direzioni regionali incrociando le indicazioni da Roma, con il bollo finale della Direzione nazionale): visto che uno dei motivi di malcontento tra i parlamentari in carica è proprio la mancanza di un criterio, che non sia quello della scelta dall’alto, per entrare nel circolo degli ottimati, ovvero nelle liste dei candidati alle politiche.
Una eco di questi malumori è rimbalzata nel gruppo Pd riunito mercoledì sera da Ettore Rosato per benedire l’accordo. «Un clima pessimo», racconta una delle deputate presenti, a testimoniare quanto la prospettiva del voto a settembre non entusiasmi – per usare un eufemismo – peones e graduati di varie correnti. A cominciare da quella dello sfidante di Renzi, il ministro Orlando. Ma compresa l’area che fa capo all’ex premier: dove non manca chi – sotto promessa di anonimato – sibila «stiamo facendo lo stesso errore, la replica del film del 4 dicembre: Matteo solo contro tutti».
Nel salone del gruppo Dem l’altra sera sono rimasti Matteo Richetti, neoportavoce Pd e Roberto Giachetti a difendere l’intesa sul «tedesco», unica possibile, pure se su un sistema che non è certo il prediletto dal Pd. Giachetti con un colpo di teatro ha rinfacciato a Orlando, che non era presente, un’intervista del 2016 in cui il Guardasigilli difendeva il proporzionale (se pure con premietto di maggioranza). Ma la «batteria» di interventi contro quest’intesa che porta dritto alle urne è andata avanti senza sosta: da Martella a Miccoli, tutti gli orlandiani hanno sollevato dubbi. Finanche un veltroniano schierato con Renzi al congresso come Walter Verini – con il consueto fair play e assicurando che voterà allineato sulla legge elettorale – si è chiesto se non sia un errore accelerare, dato che ci sono diverse riforme da portare a termine.
Insomma, i resoconti del giorno dopo narrano di una rivolta contro la corsa al voto. Soffocata solo dalla consapevolezza diffusa che «se vivi o muori dipende da dove ti mette in lista il segretario», sintetizza un dirigente. Una rivolta ancora più significativa perché andata in scena proprio mentre al piano superiore nella prima Commissione i renziani come Emanuele Fiano presentavano l’emendamento frutto dell’accordo Pd-Forza Italia e grillini. Ma se c’è questa forte ostilità alle urne anticipate è perché le truppe sono convinte che non sia scontato vincere le elezioni. E sono terrorizzate dal dover fare un salto nel buio. Che si fa dopo il voto? Ci si allea con Berlusconi? Sono le domande che angosciano i parlamentari, per nulla entusiasti di andare alla carica nei luoghi di villeggiatura con tale fagotto sulle spalle.
Per sedare le tensioni Rosato ha indicato un percorso che porterà a votare prima la legge elettorale, impegnandosi subito dopo per mandare in porto anche la riforma del processo penale, il testamento biologico e il reato di tortura. Ma il sentimento che prevale è la paura, quella di non esser candidati; o quella di esser candidati per andare alla guerra senza certezze, visto che non è proprio un periodo d’oro per il Pd.
«Qui siamo in 300», dice il deputato più giovane, Enzo Lattuca, (area Orlando) «e nella migliore delle ipotesi saremo 200: che sia conveniente correre al voto è tutto da dimostrare, ma questa convinzione che si vince non c’è. E poi è una cosa scandalosa quella dei capolista bloccati nel proporzionale che superano i vincitori di collegio». La neonata sfida nei collegi renderà inutili infatti le parlamentarie, ma i nominati saranno sempre i primi a entrare nel portone di Montecitorio.
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