Emmanuel Macron vince il ballottaggio con Marine Le Pen e diventa il nuovo presidente francese. Nel suo primo discorso dalla piazza del Louvre annuncia: “Difenderò il destino comune dei nostri popoli”.
Macron, il trionfo è un Inno alla gioia: “Proteggerò e unirò la Francia”
Il vincitore parla al Louvre davanti a migliaia di sostenitori: non fischiate Le Pen. Sul palco accompagnato dalla musica simbolo europeo: è una nuova pagina
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rriva sul palco dopo una lunga passeggiata a piedi, solitaria, nella piazza del Louvre, «questo luogo percorso dalla nostra storia», che ben lo rappresenta: né di destra né di sinistra, né la Bastiglia dei socialisti né la Concorde di Sarkozy. Dedica un pensiero a loro, i militanti che sfidano il freddo per aspettarlo, ma anche a chi lo ha votato solo per fermare il Fn, «conosco i nostri disaccordi, li rispetterò, ma restando fedele agli impegni assunti: difenderò la Repubblica». A tutti, ricorda che «porteremo avanti l’audacia, il mondo aspetta che la Francia lo sorprenda, è quello che faremo», difendendo sempre «lo spirito dei Lumi», senza «niente cedere alla paura, alla divisione, alla menzogna». E lui, da presidente, promette di lavorare per il Paese «nel nome del nostro motto: libertà, eguaglianza, fraternità, vi servirò con amore». Cori, sventolio di bandiere, e sul palco, sulle note della Marsigliese, salgono la moglie Brigitte, la première dame accolta da un boato della folla e presa per mano dal presidente, i suoi tre figli, i sette nipoti, la famiglia allargata Macron.
Poco prima, in attesa di concedersi al bagno di folla, è dal comitato elettorale blindato che ha pronunciato il breve discorso «ufficiale» da capo dello Stato eletto: «Non nego le difficoltà economiche, sociali, l’abbattimento morale. Sono cosciente delle divisioni che hanno portato a voti estremi, e le rispetto», dichiara, ma «sarà mia responsabilità lottare contro tutte le forme di diseguaglianza, voglio garantire l’unità della nazione». Una Francia che ha un solo luogo in cui stare: «Difenderò l’Europa, la comunanza di destini che si sono dati i nostri popoli, è in gioco la nostra civiltà», promette ai francesi che da Nizza ai Pirenei lo stanno seguendo davanti alla tv, e anche a chi lo guarda da oltre frontiera. Dieci minuti per tracciare «la nuova pagina che si apre»: una sorta di manifesto che va dalla lotta al terrorismo all’economia – il lavoro, le tasse – fino all’attenzione per il sociale e le diseguaglianze. Passando per l’Europa da rifondare, e i ripetuti cenni all’ambiente e all’emergenza climatica. Oltre alle fratture da riparare nella società: mentre lui parla, nel quartiere di Ménilmontant scoppiano tafferugli tra giovani antifascisti e polizia.
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I primi dati lo danno 65,8 per cento contro il 34,2 di madame Le Pen, a cui rivolge significativamente «un saluto repubblicano». Non è l’82 a 18 del 2002, quando la Francia sotto choc per l’approdo al secondo turno di papà Le Pen accorse in massa a votargli contro; oggi l’indignazione è molto più contenuta, e infatti anche l’affluenza cala, l’astensionismo supera il 25 per cento e le schede bianche fanno il record del 12 per cento. Ma è una vittoria netta.
La vittoria dell’ottimismo sulla paura, secondo i sostenitori. Delle élites sul popolo, per i detrattori. Di sicuro, è la vittoria che mostra la voglia di cambiamento dei francesi, che al primo turno hanno eliminato il candidato socialista con la seconda peggiore performance della Quinta repubblica e quello neogollista.
Cambiare facce, rinnovare la vita pubblica, moralizzare il Paese. Marine Le Pen prometteva di farlo come forza antisistema, come la riscossa degli esclusi sui salotti buoni. La Francia delle campagne l’ha portata a un passo dall’Eliseo, ma alla fine quel Fronte repubblicano che ha sempre fatto argine all’estrema destra si è ricomposto. In modo meno rumoroso del passato, ma lo ha fatto e ha fermato un Fronte nazionale che a destra fa paura per le sue ricette economiche e a sinistra per le posizioni sulle questioni sociali.
Con il giovane ex ministro dell’Economia di François Hollande, con il suo movimento «En marche!» nato dal nulla appena un anno fa, ha vinto la visione di un Paese stanco ma capace di rialzarsi, spaventato ma percorso dalla speranza. La proposta di un under 40 che rivendica il fatto di essere fuori da tutti i partiti, che promette un governo di giovani e nuovi alla politica, di rimuovere i blocchi che rallentano il Paese. E, in un clima diffuso anti-europeo, ha vinto il candidato più europeista di tutti, che ai suoi comizi distribuiva le bandiere blu con le dodici stelle.
Ha vinto ma il rischio è che in una larga parte della popolazione non abbia convinto. Avrà ora il compito di far ricredere tutti quelli che lo hanno votato solo per evitare il rischio Fn, ma che ancora gli rimproverano il passato da banchiere di Rotschild. E, soprattutto, avrà il delicato compito di pacificare il Paese, di ricomporre fratture e lacerazioni: «Sarà una responsabilità immensa riconciliare questa Francia», diceva già negli ultimi incontri pubblici.
Entro domenica ci sarà l’insediamento e il passaggio di consegne. Tra i socialisti, c’è chi ricorda ancora come il 21 aprile 2002, il successo al primo turno di Le Pen scolpito nella memoria collettiva della nazione, su Parigi splendeva beffardo un bel sole. Sulla sconfitta del Fronte, sull’arresto del populismo alle porte dell’Eliseo, ieri, soffiava un venticello gelido. Un vento nuovo.
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