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eri, intanto, l’Aula di Palazzo Madama ha approvato la mozione di maggioranza sulla Consip, primo firmatario Luigi Zanda, con 185 voti favorevoli, 76 contrari e 5 astenuti. Nel suo retroscena Ugo Magri racconta quello che è stato un match pugilistico dove l’unico obiettivo sul ring era di non farsi troppo male a vicenda.
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Latorre: “Tutti pronti alle vacanze, nessuno le vuole rischiare”
ROMA – Luigi Zanda, capogruppo Pd, descrive nell’aria una grande ruota che gira e sorride, sornione: «Oggi qui in Senato si monta la panna». Pochi passi più in là, nella Sala Garibaldi, con il busto marmoreo del Generale che trattiene a fatica gli sbadigli, uno spirito libero «dem» come Nicola Latorre sintetizza il momento politico attuale: «Si stanno preparando tutti alle vacanze, non c’è nessuno che le voglia mettere a rischio con qualche mossa da matti». E mentre lo dice, arriva trionfante Quagliariello, il «Dottor Sottile» del centrodestra, colui al quale maggiormente è dovuto questo dibattito in aula sul caso Consip. Latorre gli butta lì: «Pure tu, Gaetano, adesso sarai contento di queste 24 ore di celebrità». Quagliariello sta al gioco, «sì, una notorietà del tutto immeritata». Risate per la battuta di spirito. Perché in fondo ieri era tutto un minuetto, un duellare di fino. O, se si preferisce, abbiamo assistito a un match pugilistico dove l’unico obiettivo sul ring era di non farsi troppo male a vicenda.
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Polveri bagnate
Eppure l’oggetto del dibattito poteva scatenare un inferno. Si trattava o no della vicenda Consip, con i suoi intrecci tra affari e politica, tra grandi business e sottobosco del potere? C’è o non c’è un’indagine che, tra mille sospetti di depistaggio, chiama in causa il papà dell’attuale segretario Pd? Mancano appena quattro giorni ai ballottaggi in oltre 20 città: ci si doveva attendere quantomeno un po’ di cinema (grida urla cartelli mani addosso commessi a dividere gli scalmanati e tutto il repertorio solito del cattivo gusto). Sulla carta poteva accadere perfino che il governo finisse zampe per aria. Ma ieri non tirava aria di crisi. Lo si è capito dalle prime battute, quando con una motivazione peraltro ineccepibile il presidente Pietro Grasso ha bocciato la mozione di Mdp contro il ministro Luca Lotti. È stato come versare una secchiata d’acqua sulla polvere da sparo. Invano ha tentato di far detonare gli animi un appassionato Miguel Gotor: dietro ai bersaniani sono andati solo i Cinquestelle, ma per onor di firma e neppure troppo convinti. L’arena che doveva fremere e ribollire si è trasformata in un tranquillo Circolo Pickwick. Tramite Enrico Morando, il governo ha sollecitato qualche lieve rettifica della mozione di Augello e Quagliariello, che poteva suonare troppo aggressiva. Richiesta prontamente accordata nel nome di un inedito «fair play». Al momento del voto, 28 berlusconiani hanno sostenuto la mozione Pd, primo firmatario Zanda, per turare in anticipo eventuali falle. In tutto sono stati 39 i senatori di opposizione corsi a soccorrere la maggioranza, con il beneplacito dei rispettivi partiti. Qualcuno vi coglie un profumo di larghe intese. Altri prevedono che magari, presto, ricomincerà l’«inciucio» sul sistema elettorale tedesco. Ma senza lavorare di fantasia, la vera ragione per cui ieri non è successo nulla di cui scrivere a casa, sta nella dannata paura di mettere in crisi il governo. E terminare in anticipo una legislatura che per la stragrande maggioranza dei senatori sarà pure l’ultima.
Conti in tasca
Sarebbe meschino farne un puro calcolo di portafogli. Ma se si voterà come sembra tra 10 mesi, di qui ad allora ogni membro del Parlamento avrà messo in tasca 100mila euro lordi, più altrettanti cash a titolo di rimborso spese. Chi sarà mai quel matto, malato grave di politica, disposto a rimetterci 200 mila euro per il gusto di far cadere Gentiloni? Non a caso, interpellati sulle possibilità di crisi, i personaggi più esperti di come va il mondo tagliano corto. Naccarato: «Zero possibilità». Viceconte: «Nemmeno una». E Paolino Bonaiuti, già portavoce di Berlusconi, risponde con esprit florentin: «Ma di che parliamo?». Accanto a lui un ex comunista come Ugo Sposetti, scuote in capo: «Non c’è pathos, è solo tempo buttato. Cose che fanno male alla politica».
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