Nel suo editoriale Stefano Lepri analizza la scelta del premier e quali possono essere gli effetti economici parlando di un “risiko con risorse limitate”.
Il Risiko delle risorse limitate
C
i voleva, una indicazione di priorità precise, concentrate, per la politica economica del governo. Se Paolo Gentiloni sarà capace di rispettarle, eviterà innanzitutto che la vacuità estrema del dibattito politico di questa estate si prolunghi nella campagna elettorale.
Concentrarsi sul lavoro dei giovani e aggiungervi interventi contro la povertà è opportuno. Nasce da lì la perdita di speranza che deprime gli italiani. A differenza degli Stati Uniti, dove le disuguaglianze si sono accresciute in misura enorme, ciò che fa rabbia sono confini in apparenza divenuti immutabili, chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori.
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Parlare di misure «selettive» significa riconoscere che le risorse sono limitate. Specie quando si avvicina il voto, di qualsiasi spesa inutile e anche di parecchie dannose si può facilmente sostenere che sono «per lo sviluppo».
Si è finora perlopiù discusso a vuoto su quanto sia buon segno il prodotto lordo cresciuto dello 0,4% nel secondo trimestre; ci si continua ad accapigliare pro e contro il «Jobs Act» senza mai offrire interpretazioni serie o proposte alternative che non siano un ritorno all’indietro.
Pressoché in tutti i Paesi avanzati i cittadini non sono soddisfatti di come vanno le cose, nonostante la ripresa sia, dove più dove meno, in corso. Per la maggioranza delle persone, il benessere ancora non aumenta. Di questo si discuterà, in linguaggio da tecnici, da giovedì prossimo nel convegno organizzato dalla banca centrale Usa a Jackson Hole.
Ai mali comuni l’Italia ne aggiunge di suoi propri. Quale segno di declino può essere più evidente della fuga all’estero dei giovani meglio preparati o con maggiore voglia di apprendere? Nulla si smuove, a cominciare da università sì a corto di soldi ma soprattutto governate da corporazioni di docenti anziani che non vogliono cambiare nulla.
Sul «Jobs Act» occorre un bilancio sereno. Ha avuto risultati positivi, soprattutto nel periodo iniziale (all’estero nessuno ne dubita), eppure limitati. Modificare le tutele non genera il miracolo promesso dai sostenitori delle «politiche dell’offerta». Il precariato continua ad essere troppo vantaggioso per le imprese, e insieme insidioso, perché le tenta a non innovare.
Lo «shock» di incentivi permanenti promesso da Gentiloni a favore dei giovani assunti a tempo indeterminato può essere utile. Chi li assume contribuirà alle loro future pensioni meno di quanto dovrebbe. È un modo un po’ distorto di alleviare il peso di un sistema previdenziale troppo favorevole agli anziani; forse tuttavia l’unico praticabile.
Difficile sarà arrivare a rendere più conveniente per l’impresa il posto fisso rispetto al posto precario. In prospettiva lo è, perché chi può sperare in una carriera lavora meglio di chi si sente condannato a restare in fondo alla scala delle mansioni. Ma gli imprenditori guardano anche al contesto; se il Paese appare incapace di crescere, non mutano le abitudini consolidate.
Utile sarebbe se il governo riuscisse anche a dare segni di novità con riforme che non costano, burocrazia, giustizia, normative anti-corrotti. Ben altre liberalizzazioni servirebbero, oltre a quelle della legge approvata dopo lunga fatica prima delle vacanze.
Per dare il segno di una vera svolta, occorrerebbe forse riflettere su ulteriori misure, come limiti più stretti e paghe minime per i contratti a termine, magari a gradi. Fare una scelta verso i giovani può sottrarre il centro-sinistra allo scontro ormai sterile su Renzi sì o Renzi no; chiama le altre forze politiche a esprimere giudizi precisi. Altrimenti, le disparate rabbie suscitate dall’impoverimento generale del Paese rischiano di unirsi su obiettivi menzogneri.
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