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Il Pd da ieri non esiste più?

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Il Pd da ieri non esiste più” è questa l’opinione di Marcello Sorgi, dopo il rifiuto della sinistra del PD di fidarsi della proposta fatta da Matteo Renzi di modificare l’ Italicum dopo il voto sul referendum costituzionale.

Il partito al canto del cigno

L

a crepa che s’è aperta nel Pd e rende più incerto l’esito del referendum, dal momento che il partito avrebbe dovuto essere (e non sarà) il traino del «Sì», per una volta è soprattutto politica, e non, o non esclusivamente, connessa al groviglio di odii e risentimenti personali che da sempre dividono i Democrat.

S’è capito benissimo ascoltando il dibattito che per tutto il pomeriggio s’è svolto al Nazareno, nel quale, dopo la relazione con cui Renzi ha formalizzato la sua apertura ad eventuali modifiche dell’Italicum, s’è affacciato chiaramente il fantasma del proporzionale. Cioè, per intendersi, l’esatto contrario dei sistemi maggioritari su cui s’è retta per oltre un ventennio, con tutti i suoi limiti, la Seconda Repubblica, consentendo ai cittadini di scegliersi direttamente i governi, poi rivelatisi non sempre in grado di governare.

Contro questo meccanismo, che ha nell’Italicum una delle sue applicazioni, frutto di un compromesso e di un tentativo di migliorare il Porcellum dichiarato incostituzionale, la minoranza bersaniana, che non aveva votato la nuova legge elettorale in Parlamento, s’è spinta ad annunciare che voterà «No» alla riforma costituzionale il 4 dicembre.

Nel tentativo di dare «rappresentanza» – è la parola chiave adoperata da Roberto Speranza, l’ex capogruppo dei deputati che proprio per non approvare l’Italicum si dimise – a quella parte della sinistra che con i partigiani dell’Anpi, l’Arci, le associazioni antimafia e altri pezzi della società civile sono già schierati contro Renzi.

Qui la discussione interna al partito del premier è arrivata a un punto di svolta. Perché la minoranza non ha chiesto solo di correggere questo o quel punto dell’Italicum, che piuttosto vorrebbe interamente riscritto. Ma di dare legittimazione a chi vuole opporsi nelle urne, alla legge elettorale e alla riforma costituzionale insieme, approfittando della prima occasione disponibile, appunto il 4 dicembre. Un ragionamento come questo – Speranza non ha parlato di numeri, ma la minoranza da tempo ne dispone – poggia sulla valutazione, emersa da recenti sondaggi, secondo la quale il 36 per cento dell’elettorato Pd, più di un terzo, in valori assoluti il 12-13 per cento del totale dei voti degli elettori, è ormai risolutamente per il «No». E questo 12-13, sommato al 4-5 che sta fuori del partito, alla sua sinistra, guarda caso fa il 16-17 per cento che il Pds, erede, dopo il cambio del nome, del vecchio partito comunista, prese nel ’92, nell’ultima occasione in cui si votò con il proporzionale.

In altre parole, se al referendum Renzi e il «Si» saranno sconfitti, e perfino se la Corte Costituzionale, quale che sia il risultato, riscriverà l’Italicum, per esempio rendendo obbligatorio il premio di maggioranza per le coalizioni, e non com’è adesso solo per il partito vincente, il Pci, o come si vorrà chiamare, è pronto a rinascere a sinistra del Pd. Va da sé che per Bersani, Speranza, Cuperlo e tutti coloro che si preparano a far campagna per il «No» insieme a D’Alema, che li aveva preceduti su questo fronte, sarebbe più adatto il proporzionale, che gli consentirebbe più comodamente di riorganizzarsi in proprio, sapendo che su questo terreno troveranno disponibili in Parlamento tutti o quasi gli altri partiti, incapaci di collaborare, ma pronti a unirsi in nome del sistema che nella Prima Repubblica garantiva governi brevi e facili da sostituire, alleanze mutevoli e occasionali e una sorta di diritto al trasformismo.

Dunque il percorso è chiaro. Chiarissimi anche l’obiettivo e le vittime designate: Renzi, il suo governo e la sua riforma. Il Pd, per come lo si conosceva, da ieri non c’è più. Quel che resta da vedere è se con la – assai meno probabile, dopo quel che è accaduto, ma non del tutto impossibile, non si sa mai con i referendum -, vittoria del «Sì», dopo il Pci vedremo rinascere la Dc.

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