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Castellammare di Stabia

L’inevitabile percorso delle riforme

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L’editorialista Mario Deaglio descrive “ l’inevitabile percorso delle riforme ” che il governo dovrà affrontare, perché “l’Italia non può continuare a ripiegarsi su se stessa come se il mondo finisse alle Alpi e alle rive del Mediterraneo”.

L’inevitabile percorso delle riforme

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’incarico di formare il nuovo governo, conferito a Paolo Gentiloni, chiude la parentesi del referendum sulla quale si è spasmodicamente concentrata l’attenzione degli italiani e della loro classe politica negli ultimi sei mesi. L’interrogativo è ora se sarà possibile riprendere il cammino di riforma iniziato dal governo Renzi.

L’Italia non può continuare a ripiegarsi su se stessa come se il mondo finisse alle Alpi e alle rive del Mediterraneo. A Nord delle Alpi dobbiamo rispettare, magari cercando di rinegoziarli, una serie di accordi sottoscritti che ci garantiscono la partecipazione al grande mercato globale sul quale si fonda il nostro benessere. Dalle rive del Mediterraneo arrivano migranti, il che richiede urgentemente politiche chiare, ben oltre l’emergenza (gli attentati di ieri a Istanbul e al Cairo sono, di fatto, avvenuti sulla nostra porta di casa) con intese rapide non solo con gli altri paesi europei ma anche con quelli della riva Sud e dell’Africa Subsahariana.

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Alla chiusura della parentesi referendaria constatiamo duramente gli effetti dell’assenza di una qualsiasi politica bancaria: abbiamo affidato tutto a scatola chiusa alla Banca Centrale Europa senza che alcuna forza politica si domandasse concretamente di che tipo di banche il paese ha bisogno e come deve esserne strutturata la proprietà.

Il sistema bancario italiano ha suscitato l’attenzione pubblica solo quando si è trattato di salvare i superstiti dei naufragi finanziari, senza porsi il problema di come si sarebbero potuti evitare questi naufragi. Per questo, il nuovo governo potrebbe trovarsi, addirittura al suo primo Consiglio dei ministri, la patata bollente dell’eventuale ruolo pubblico nel salvataggio del Monte Paschi, che non avrebbe certo conseguenze leggere sulle finanze dello Stato. E, pur essendo il sistema bancario italiano sostanzialmente solido, tale solidità dovrà essere salvaguardata con linee guida per interventi successivi che si sperano non necessari.

Passando dal brevissimo al lungo periodo, il nuovo governo si trova di fronte un paese, una società e un’economia spaccate, caratterizzate da diseguaglianze rapidamente crescenti e una ripresa ancora troppo debole. Si tratta dei divari tra redditi alti e bassi, tra generazioni giovani e generazioni anziane, tra settori produttivi e aree geografiche. Anche se la sua vita sarà breve, il nuovo esecutivo può indicare una strada per uscire dal clima della «politica da bar», ossia dal semplicismo delle ricette e delle soluzioni. Potrebbe, a esempio, proporre chiaramente al paese un tasso di crescita da raggiungere e mantenere, facendone uno dei criteri base per la politica economica.

Entro quest’ampio arco di problemi si collocano scadenze e appuntamenti normalmente trascurati. Da gennaio, per 12 mesi, ossia in un momento molto delicato dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, l’Italia avrà la presidenza del G7, la cui riunione più importante dovrebbe svolgersi a Taormina a fine maggio. Questa presidenza italiana non deve essere solo un’occasione per ospitare con sfarzo i grandi della terra, ma piuttosto un’opportunità – rara per un paese medio-piccolo – di influenzare l’assetto economico del pianeta. Si pensi, tanto per indicare un solo problema, alle sanzioni europee e americane contro la Russia per la questione dell’Ucraina per le quali l’economia italiana sta pagando un prezzo molto pesante.

Le rapidissime trasformazioni globali delle economie e delle società indicano che il mondo non aspetta e non ci aspetterà: per questo è necessario un governo di alto profilo. Paolo Gentiloni ha davanti a sé un impegno duro e il paese un’opportunità da non sciupare.

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lastampa/MARIO DEAGLIO

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