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Il tormento dei 50enni sospesi: disoccupati e con il miraggio della pensione

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Le persone che hanno perso il lavoro e vedono la pensione come irraggiungibile, si trovano a vivere il tormento dei sospesi. Per loro il reinserimento è quasi impossibile perché l’Italia non investe in formazione continua.

Lavoro perso e pensione irraggiungibile, il tormento dei cinquantenni “sospesi”

Quasi impossibile il reinserimento: l’Italia non investe nella formazione continua

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Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, non giovi a un nobile scopo», diceva Adriano Olivetti, il grande imprenditore piemontese. Immaginatevi quanto tormento è a 50 o a 60 anni, magari dopo aver passato una vita a lavorare, trovarsi improvvisamente senza lavoro o provare a cercarlo perché se ne ha bisogno e non trovarlo.

Sono mezzo milione i disoccupati di 50 anni e più, che si trovano in questa situazione, cioè le persone che non hanno lavoro e lo cercano attivamente, secondo i dati Istat 2016.

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Se ne parla poco. Ma dobbiamo farlo perché si tratta di un segmento particolarmente vulnerabile che corre un duplice rischio: quello di vivere oggi una situazione difficile economicamente e socialmente, che potrebbe protrarsi nel tempo, e quello di non raggiungere i limiti previsti per ottenere una pensione. Doppiamente sospesi, e con grandi difficoltà a reinserirsi nel lavoro, data l’età. Un grande «tormento».

Si tratta in gran parte di persone che hanno lasciato forzatamente il lavoro (74%), lo hanno perso, e che stanno incontrando difficoltà a trovarlo, visto che il 61,4% è disoccupato di lunga durata, cioè sta cercando un’occupazione da più di un anno. L’età avanzata rende più difficile il tutto, e a parità di altre condizioni è noto che più aumenta la durata della disoccupazione, più è grande la probabilità di non trovare il lavoro.

Non facilita il fatto che in Italia ancora il principale canale per la ricerca di lavoro sono i contatti informali e personali che durante la crisi hanno riguardato l’80% dei disoccupati, perché essendo costoro fuori da ambienti lavorativi hanno sempre meno contatti con occupati. Inoltre, le imprese sono molto restie ad assumere non solo disoccupati in età adulta, ma anche in stato di disoccupazione da molto tempo. Tanto più che il livello di istruzione dei disoccupati adulti è prevalentemente basso (63,7%), al massimo la secondaria di primo grado, e ciò crea maggiori difficoltà di reinserimento, perché limita le loro chance. Anche perché il nostro Paese non ha mai agito seriamente sulla formazione continua.

Un’istruzione più elevata crea un forte vantaggio per non cadere in disoccupazione in età adulta, e per ritrovarla più facilmente nel caso in cui ci si cada. La crescita maggiore di disoccupati ultracinquantenni è avvenuta tra il 2008 e il 2013, un aumento del 147 per cento. Il che vuol dire che in cinque anni sono più che raddoppiati, arrivando a 438 mila. Nei tre anni successivi rallenta di molto la crescita, 60 mila disoccupati in più, per un totale di 501 mila unità. Il fatto che sia rallentata la crescita non deve farci sottovalutare il problema. L’incremento dei disoccupati con almeno 50 anni ha interessato soprattutto gli uomini tra il 2008 e il 2013, che assorbivano i due terzi dell’aumento. Negli ultimi tre anni sono invece le donne ad assorbire i due terzi di un incremento in generale più basso.

Gli uomini rimangono comunque la maggioranza dei disoccupati ancora oggi a differenza di altre fasce di età. Nei primi cinque anni della crisi i settori delle costruzioni e dell’industria manifatturiera, seguiti dai trasporti e dal commercio, hanno contribuito maggioritariamente, quasi al 60% alla crescita dei disoccupati con più di 50 anni tra gli uomini. La crescita delle donne disoccupate deriva da tutti gli altri settori, soprattutto i servizi collettivi e alla persona, e poi dall’industria manifatturiera, il commercio e il settore degli alberghi e ristorazione.

Nel Sud vivono il 43,7 % dei disoccupati ultracinquantenni, nel Nord il 35,9%. Così era anche più o meno nel 2013. Ma emerge una differenza tra uomini e donne. Le disoccupate donne vivono più al Nord, sono più istruite, e in maggiore percentuale non sono state licenziate, ma cercano di rientrare nel mercato del lavoro dopo un periodo di assenza magari in seguito alla maternità e alla crescita dei figli. Vivono di più come madri sole col figlio, in coppia senza figli e da single, nel 37% dei casi in coppia con figli. Gli uomini disoccupati vivono di più al Sud, sono meno istruiti, sono stati licenziati, e sono in maggioranza genitori con figli, in un quinto dei casi in coppia senza figli.

Il lavoro, quando non è sfruttamento, è un aspetto fondamentale dell’identità delle persone. In Italia la grande maggioranza della popolazione è molto legata al suo lavoro, ne è complessivamente soddisfatta, ci tiene, ci investe anche quando non guadagna molto. Senza lavoro, contro la propria volontà, a cinquanta anni è veramente dura. Non possiamo rassegnarci alla perdita del lavoro, come Paese prima che come individui, è la perdita di una grande ricchezza di uomini e donne che va valorizzata.

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