L’editorialista de LA STAMPA, Marcello Sorgi, spiega la decisione di Raggi con la volontà di far prevalere gli interessi dei grillini su quelli di Roma. E Grillo esulta: “Raggi, bravissima”.
Un rifiuto per compattare il Movimento
A
tteso, ma fino all’ultimo non scontato, il «no» di Virginia Raggi alla candidatura di Roma alle Olimpiadi segna una svolta dura nell’amministrazione della Capitale, fin qui impantanata nella propria incapacità, e rischia di trasformarsi in una dichiarazione di sfiducia, della sindaca e dell’intero M5S, verso se stessi.
Nelle settimane e nei mesi ormai che hanno preceduto l’annuncio di ieri, Raggi e il vertice stellato infatti avrebbero potuto motivare più seriamente la propria convinzione, basandosi su un’approfondita analisi delle opportunità e dei rischi e trovando un sostegno più forte alle loro posizioni. Invece, non c’è uno solo degli argomenti portati dalla sindaca in conferenza stampa che non possa essere contraddetto.
Dire che queste sarebbero state le «Olimpiadi del mattone, un pretesto per nuove colate di cemento», è come negare a priori che la nuova amministrazione – insediata con un voto plebiscitario degli elettori romani che invocavano il cambiamento, dopo le fallimentari esperienze di Alemanno e Marino e dopo l’ondata di corruzione sfociata nell’inchiesta «Mafia Capitale» – non sarebbe stata in grado di impedirlo, cogliendo l’occasione per impegnare i consistenti fondi pubblici che il governo aveva messo a disposizione per ricostruire l’immagine e la sostanza di una grande città derelitta, che non aspettava altro.
Ancora, dire che il settanta per cento dei romani si erano espressi contro le Olimpiadi con il voto del ballottaggio del 19 giugno che ha segnato il trionfo dei 5 stelle, equivale a dimenticarsi che in campagna elettorale era stato promesso di dare ai cittadini l’ultima parola, perfino con un referendum. Tra l’altro, i sondaggi svolti in questi ultimi giorni, rivelano che a certe condizioni l’opinione pubblica capitolina è in maggioranza favorevole ai Giochi.
Citare il residuo di debito a bilancio del Comune per quelli del 1960 come esempio di un nuovo dissesto finanziario da evitare, per non caricare i romani di nuovi debiti, significa ignorare quale grande trasformazione le Olimpiadi portarono cinquantasei anni fa, in una Capitale che era rimasta una sorta di grande paesone e per una popolazione di oltre tre milioni di persone che da quell’esperienza uscirono proiettate verso la dimensione di una moderna metropoli. Inoltre, lasciare dietro la porta il presidente del Coni, dopo averlo convocato per discutere, non è stato solo un gesto di maleducazione da parte di una sindaca che in fatto di buone maniere s’è già fatta conoscere Oltretevere, ma una mancanza di riguardo verso un’istituzione che rappresenta l’Italia nel mondo. Infine, non c’è bisogno di essere sportivi per sapere che le Olimpiadi non sono solo quell’appaltificio a cui Raggi le vorrebbe ridurre: sono innanzitutto un insieme di passione, orgoglio ed entusiasmo giovanile, come ci hanno ricordato proprio in questi giorni i ragazzi italiani delle Paralimpiadi, pronti ad approfittarne per gettare il cuore oltre l’ostacolo del loro ingrato destino.
Ma di tutte queste obiezioni, come degli innumerevoli post dei loro elettori che ieri su Internet hanno protestato contro il «no» alle Olimpiadi, Raggi, Grillo, Di Maio, Di Battista e tutto il gruppo dirigente 5 stelle – c’è da giurarci – se ne fregheranno. Giunti in pessime condizioni alla vigilia dell’assemblea di Palermo, che dovrebbe delineare il futuro del Movimento e superare le rissose divisioni che la vicenda del Campidoglio ha fatto emergere, i grillini erano a caccia di un annuncio a effetto, che servisse a sollevare un terremoto di reazioni avversarie, e sull’onda di queste una ragione per ricompattarsi, per reagire all’assedio e ribadire la propria diversità. Tal che, pur essendo inaccettabile la scelta del Movimento 5 stelle e della sindaca Raggi, nonché il modo e il momento in cui è maturata ed è stata annunciata, a malincuore bisognerà rassegnarsi a questa ennesima prova di nullità. In fondo, non vale neppure la pena di approfondirne le motivazioni. Ragionarci servirebbe solo a fare il loro gioco, per sentirsi ripetere che le obiezioni «delle lobbies e dei giornaloni» sono la prova che la decisione era giusta.
vivicentro.it/cultura
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