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Una zavorra chiamata ”pink tax” (la tassa rosa)

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Per tutte le donne c’è una zavorra chiamata “ pink tax ” (la tassa rosa), una sorta di obolo mascherato che porta le donne a pagare molti prodotti più di quanto paghino gli uomini. In compenso però cresce il divario tra le donne che vivono al Nord e quelle che risiedono al Sud con precariato e basso-reddito a fare da sfondo.

Quanto costa la tassa rosa

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na tassa che costringe la metà della società che già riceve ingiustamente una retribuzione inferiore a pagare di più per i suoi acquisti

Che in Italia (come in quasi tutti i Paesi del mondo, del resto) le donne siano pagate meno degli uomini, a parità di lavoro svolto, è cosa nota. Si parla meno però del fatto che le donne – in quanto donne – pagano molti prodotti più di quanto li paghino gli uomini. Benvenuti nel magico mondo della cosiddetta «pink tax», la tassa rosa (una tassa esistente, ma che è molto ben mascherata).

Una tassa che costringe la metà della società che già riceve ingiustamente una retribuzione inferiore a pagare di più per i suoi acquisti.

Qualche esempio? Eccone alcuni. Vi siete mai accorti che gli shampoo e i conditioner per capelli mirati a una clientela femminile costano in media il 48% in più di quelli diretti alla clientela maschile? Che i jeans per donna costano il 10% in più di quelli per uomini? Che le biciclette «da donna» costano il 6% in più di quelle (equivalenti) per uomini? Per arrivare ai casi più paradossali: come ha twittato l’allora ministra per le Pari opportunità francese Pascale Boistard, le confezioni di rasoi Monoprix destinate alle donne ne contengono cinque al costo di 1,80 euro, mentre quelle per uomini ne contengono 10 e costano 1,72 euro.

La verità – che pochi ammettono – è che tutta una serie di beni e servizi che le donne sono per varie ragioni obbligate ad acquistare (prodotti per la cura personale e accessori, prodotti per la casa, abbigliamento) sono per definizione sproporzionatamente più costosi. Un taglio di capelli per uomini può costare 20 euro; in media un taglio per donna ne costa il doppio o il triplo. Per non parlare dei mille trattamenti estetici che sulla carta sono facoltativi, ma che ogni donna che ne abbia i mezzi è costretta a utilizzare da una massiccia e schiacciante pressione sociale: depilazione, anti-rughe, anti-cellulite, pulizie del viso, creme tonificanti e via dicendo. E la situazione è talmente paradossale che persino un prodotto palesemente indispensabile come gli assorbenti igienici sono nel nostro Paese trattati in modo penalizzante per le donne. A quanto risulta al Fisco e al legislatore italiano, infatti, gli assorbenti sono tassati con un’aliquota Iva al 22% perché sono considerati beni di lusso, e quindi non indispensabili. Mentre invece (chi scrive ha la barba…) i rasoi da uomo sono assolutamente un bene di prima necessità, e giustamente sono gravati da un’Iva ridotta del 4 per cento, come il pane e il latte. E i paradossi demenziali non finiscono qui, perché in nome della parità di genere di recente la maggior parte delle polizze auto – invece di premiare il fatto che le donne siano automobiliste meno a rischio degli uomini – abbiano registrato un rincaro del 4 per cento a danno delle femmine.

Di questa pink tax, tanto subdola quanto ingiusta e ingiustificata, non parla mai nessuno. E quando qualche politico tenta di porre il problema, viene sommerso da un coro – maschile – di prese in giro e sfottò di taglio maschilista e (quel che è peggio) ignorante. E’ quello che accadde nel 2016 al leader di Possibile Pippo Civati, che ebbe l’ardire di proporre di considerare gli assorbenti come un bene di prima necessità, da tassare a un’Iva del 4%. Un’idea talmente balzana da essere stata adottata anche in Francia. «L’Italia ha altre priorità», si disse, facendo in modo che la proposta di Civati cadesse nel nulla. L’Italia ha molti problemi, è vero: uno di questi è che tratta le donne in modo ingiusto e discriminatorio.

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