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Castellammare di Stabia

L’Italia sepolta dal terremoto

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Nuove scosse nelle zone colpite dal terremoto in Italia Centrale mentre si aggrava il conto delle vittime. L’ultimo bilancio parla di oltre 250 vite spezzate. Persone di tutte le età, spesso nonni e bambini accomunati da un tragico destino. Abbiamo ricostruito molte di queste vite sepolte dalle macerie perché descrivono il nostro Paese. Ad Amatrice c’è un posto che riassume il dramma: il “giardino dei senza nome”. Qui i parenti delle vittime vengono per tentare di riconoscere i propri cari. Un obitorio a cielo aperto dove decine di morti ancora non hanno un’identità. Il rischio è che non ci siano più neanche i loro parenti. Secondo i soccorritori in molti potrebbero restare senza un nome.

Nonni e nipoti sotto le macerie. Le due generazioni cancellate NICCOLÒ ZANCAN*

L

a terra non smette di tremare, altri crolli. Almeno 250 morti. Oltre duecento estratti vivi Nei racconti il boato che anticipa la morte: “Eravamo a letto: una scossa e la casa è crollata”

Erano le ultime lunghissime giornate d’estate. Nonna Wilma cucinava il sugo con i pomodori e il guanciale. Nell’orto il pensionato Pietro Rendina si lamentava del fatto che non piovesse mai e le zucchine non crescevano bene. Nell’unico bar del paese, il circolo «Limungaturre», in onore di un avvallamento della montagna, giocavano un’altra partita a scopone.

Mentre Arianna Masciarelli, 15 anni, chiusa nelle sua cameretta, pubblicava un post su Facebook intitolato: «Motivi per preferire le ragazze basse. Le ragazze basse sono tenerissime quando baciano in punta di piedi».

I vecchi e i bambini. I nonni con i nipoti. I cugini insieme, ancora qualche giorno prima della fine delle vacanze. I genitori che salivano quando potevano, per dormire nel letto ricavato in soggiorno. Non è rimasto quasi niente a testimoniare la storia di questo paese. La vita lenta fatta di stagioni scandite. La neve, le stelle.

VITA E MORTE INSIEME  

Pietro Rendina e la moglie Clara Paradisi sono morti insieme dove si erano conosciuti ottant’anni fa. Sposati appena maggiorenni, hanno festeggiato le nozze d’argento e le nozze d’oro giù, sulla strada Salaria, al ristorante «La vecchia ruota». Lui lavorava nelle costruzioni. Faceva strade e casa con le sue braccia. Ma tornava sempre al paese, 135 residenti. Perché non c’era un altro posto migliore per vivere. Un paese senza nemmeno il nome delle strade. Tutti sapevano dove trovarsi. Dove di inverno ti scaldavi prima con la stufa a legna, e solo qualche volta ti concedevi di accendere quella a gas. Pietro Rendina e Clara Paradisi non se ne volevano andare. Anche se lui, ultimamente, camminava a fatica. E la figlia Ersilia, commessa ad Ascoli in un negozio di materassi, insisteva per farli stare in città più vicini all’ospedale.

L’EMIGRANTE TORNATO

A fare la spesa certe volte ci pensava Silvano Pala, una vita da emigrante in Canada e Germania, prima di tornare qui. «Passavo con un foglio a casa di Pietro e Clara. Prendevo le ordinazioni. Zucchero, farina, latte, il pane che resta buono anche quando diventa secco. Raccoglievo i soldi e facevo la spesa anche per loro e per tutti quelli che, per una ragione o per l’altra, non potevano muoversi dal paese. Pietro aveva male alle orecchie, Clara era bravissima a cucinare. Li ho visti ancora la sera prima del terremoto. Stavano fuori seduti sulla panchina, uno vicino all’altra, davanti alla casa che avevano ristrutturato. Ricordo che si era messo anche lui a dare il bianco, controllava l’intonaco nuovo. Erano così orgogliosi di vivere lì».

LA VACANZA DELLE LICEALI  

Il circolo con il biliardino. La macellerie della famiglia Filotei. La rivendita di verdure sott’olio. Non c’era altro da fare, a parte parlare, camminare, stare in silenzio e guardare il cielo. E forse Arianna Masciarelli e Elisa Cafini, adolescenti, si annoiavano un po’ di quella noia che poi rimpiangi, se hai la fortuna di diventare grande. Erano entrambe di Pomezia, frequentavano il liceo Artistico. Elisa l’hanno trovata accanto al cugino di otto anni. Anche Arianna è morta dormendo a casa dei nonni. È stata un’assurda guerra in un luogo di pace. Il caos del terremoto ha avverato qualsiasi destino. I fratellini Leone e Samuele salvi, morto il nonno Vito Umbro, ricoverata la nonna Vitaliana. Giorgia di otto anni sopravvissuta, schiacciata dal corpo protettivo della sorella Giulia, che invece di anni ne aveva 10 anni. La nonna Wilma Piciacca tirata fuori assieme alla nipote Elisa, dalla stessa stanza irriconoscibile che condividevano per dormire. E adesso per Elisa c’è la pagina Facebook «in memoria di». Pierina Rendina a cui è toccato morire insieme alla figlia Lucrezia di 16 anni, anche se dicono che non avrebbero dovuto trovarsi lì. Erano arrivate da Milano la sera prima del terremoto, dimenticandosi le chiavi di casa. Ma non potevano mica tornare indietro a prenderle. E allora avevano preferito farsi prestare una scala dal vicino, spaccare un vetro, ed essere finalmente in pace. Villeggianti e residenti travolti insieme, scaraventati giù dal costone della montagna, una casa sopra l’altra. Anche ieri la terra non ha smesso di tremare provocando altri crolli. Il bilancio è di 250 morti e oltre duecento estratti vivi dalle macerie.

IL DESTINO SENZA SENSO  

Nei racconti il boato che anticipa la tragedia: «Abbiamo sentito la scossa, poi un tuono e la casa è crollata». C’era solo una coppia giovane che aveva scelto di vivere tutto l’anno a Pescara del Tronto, dove la terra veniva chiamato benevolmente «ballerina», perché aveva sempre tremato un po’ senza fare male. Era la coppia formata da Martina Turco e Massimiliano Piermarini. Lei era scappata qui dopo il terremoto dell’Aquila, in cerca di pace. Insieme avevano dato la vita a Marisol, che aveva diciotto mesi, ed è diventata la vittima più piccola di questo tragedia. Trovateci voi un senso, una geometria, un piano del destino se ci riuscite.

CON GLI OCCHI CHIUSI  

La figlia di Pietro Rendina e Clara Paradisi era salita per sincerarsi delle condizioni di salute degli anziani genitori. Adesso è ricoverata all’ospedale di Ascoli. Nella stanza a fianco c’è l’attrice Alexandra Filotei, 48 anni, che ha perso la madre Ada sotto le macerie resistendo per undici ore e tenendo sempre gli occhi chiusi in mezzo a quel disastro: «Avevo paura di quello che avrei visto. Sentivo odore di gas e lo respiravo. Pensavo che morire così fosse la cosa migliore».

L’ULTIMA BENEDIZIONE  

Il mondo perduto di Pescara del Tronto si ricompone ancora per un istante fra il pronto soccorso e la camera mortuaria. Sono tutti lì alle quattro di pomeriggio, nella luce accecante di una giornata di sole. Agosto. La luce dell’estate. L’ospedale è sulla collina, nella zona di Monticelli. La camera mortuaria era troppo piccola. Allora stanno allineando le bare nella palestra comunale. Sono sul campo da calcetto, circondate da poche file di spalti con i seggiolini gialle. Sotto ogni bara, c’è un lenzuolo che porta sul bordo lo stemma di riconoscimento dell’azienda sanitaria locale. Hanno appiccicato un foglio con il numero di riconoscimento della salma. La prima è quella di Irma Rendina, 29 maggio 1936. Un parente ha aggiunto un secondo foglio con lo scotch, con sopra scritto a biro: «Cremazione!».

Passa un prete con l’acqua santa delle benedizioni. Una donna è ricurva sulla bara numero 32, rannicchiata e immobile. Quella numero 18 è della badante Violeta Moldovan. Sono tutti qui, allora. I grandi e i bambini. Ci sono i nonni, le madri e i figli. Tutta quello che serve alla vita.

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lastampa/Nonni e nipoti sotto le macerie. Le due generazioni cancellate


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