Recep Tayyip Erdogan ha vinto il referendum che gli garantisce maggiori poteri: la Turchia è divisa e si allontana dall’Europa. L’Occidente guarda l’esito del voto e gli osservatori dell’Osce esprimono dubbi sulla correttezza delle operazioni di voto.
Il presidente ha perso l’appoggio della parte produttiva della Turchia
Le città più ricche e sviluppate, Istanbul e Ankara comprese, hanno scelto il no. Il sondaggista: il partito islamico non ha più l’elettorato trasversale di una volta
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er il resto, a fronte di una vittoria tanto epocale quanto contestata e con il suo 51,4% di sicuro non plebiscitaria, l’Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, che guida il Paese dal 2002, per la prima volta dopo 15 anni, ha perso nella capitale Ankara e soprattutto a Istanbul, dove il no alla riforma costituzionale ha ottenuto rispettivamente il 51,15% e il 51,35%. Si tratta di un particolare non da poco. L’ascesa politica di Recep Tayyip Erdogan è partita proprio dalla megalopoli sul Bosforo, dove il Presidente ha sempre avuto il suo seggio di elezione e con la sua esperienza da primo cittadino che è sempre stata portata come un esempio della sua capacità di realizzare quello che prometteva. Il no si è affermato, anche se per poco, in distretti sulla carta particolarmente filogovernatvi, come Fatih, Eyup e persino Uskudar, quello dove ha la sua residenza il capo dello Stato a segnare come ormai la Mezzaluna sia irrimediabilmente divisa anche dove la si riteneva compatta.
La laica Smirne rimane un obiettivo irraggiungibile, con il sì al presidenzialismo fermo al 31%. Ma l’Akp ha registrato una flessione in città dove in passato aveva avuto un’affermazione netta, come Antalya e Mersin, sulla costa mediterranea e Adana, non lontana dal travagliato confine siriano. Queste sei città da sole rappresentano un terzo del potere finanziario, turistico, industriale, culturale del Paese. Segno che la parte più istruita, agiata e aperta della Turchia ha detto no ai disegni del presidente e che soprattutto il partito islamico non ha più l’elettorato trasversale che poteva vantare una volta.
«A dire sì alla riforma – spiega, Murat Gezici, il sondaggista noto nel Paese per azzeccare sempre le previsioni e che nel 2015 per questo si è visto comminare una multa da 38 mila euro – sono state soprattutto le persone più religiose. La motivazione fondamentale è un potere più ampio e stabile al presidente e una Turchia più forte. Il no, invece è stato votato soprattutto da persone di sinistra e dai laici, la motivazione principale era la diminuzione della democrazia del Paese. A risultato ottenuto, è chiaro che questo voto possiede anche un grande valore ideologico».
I più in difficoltà sono i nazionalisti, quasi matematicamente spaccati in due. Il Mhp, che ha appoggiato la riforma di Erdogan in parlamento permettendole di arrivare al referendum, adesso deve fare i conti con una dirigenza che potrebbe saltare e con un elettorato fortemente deluso da entrambe le parti. A Osmaniye, dal 1997 feudo del segretario del Partito, Devlet Bahceli, il sì ha ottenuto un 57%, lontano da quel valore plebiscitario che si aspettava dalla formazione. Segno che i timori di una deriva islamica hanno frenato quelli che si considerano i veri eredi di Mustafa Kemal Atatürk.
Sembra quasi un paradosso, ma i risultati migliori li ha ottenuti il fronte del no, che si è affermato con grande convinzione nelle zone della costa Egea, nella Tracia e nel Sud-Est a maggioranza curda. Secondo una prima analisi del voto, I due partiti insieme avrebbero conseguito un aumento delle preferenze dell’11% rispetto alle politiche del novembre 2015.
«Erdogan – conclude Gezici – ha saputo sfruttare le tensioni con l’Europa e l’accordo sui migranti per catalizzare consenso, ma ha sbagliato a pensare che chi lo ha votato alle politiche del 2015 lo avrebbe fatto anche al referendum».
vivicentro.it/cronaca
vivicentro/Erdogan accusato di brogli
lastampa/Il presidente ha perso l’appoggio della parte produttiva della Turchia MARTA OTTAVIANI – ISTANBUL
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