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Al confine tra Serbia e Ungheria tra i profughi afghani: ‘L’Europa non ci vuole’

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I leader dell’Ue si incontrano a Bratislava, in Slovacchia, nel primo vertice post-Brexit. L’intento è far ripartire l’Europa. Gli obiettivi sono due: recuperare la fiducia dei cittadini e mettere in agenda iniziative concrete. A cominciare da Difesa comune e immigrazione.

Monica Perosino è stata sul confine tra Serbia e Ungheria, in un campo abitato da profughi afghani che lamentano: “L’Europa non ci vuole”.

Lungo il muro di Orban: “Così noi ungheresi difendiamo l’Europa dall’invasione”

La rotta balcanica è sigillata, al confine con la Serbia 5 mila profughi. Ma nel Paese propaganda e volantini contro gli stranieri: terroristi

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OSZKA (UNGHERIA) – Sajad Azadi, farmacista di Kabul, ha due cose in testa: sua moglie e le onde strette di filo spinato di fronte a lui. «L’Europa qui è così vicina. E così lontana», dice contemplando il muro di Orban mentre si lava i denti all’unico rubinetto del campo irregolare di Horgos, un ammasso di teli di plastica sorretti da rami e tetti di foglie vicino alla zona di nessuno, la «zona di transito» al confine tra Serbia e Ungheria.

Qui vivono 130 persone, per lo più afghani. Nulla rispetto alle migliaia ammassate prima della costruzione del muro. Aspettano di percorrere i 5 metri che li separano dall’Ungheria. Oggi la barriera di filo spinato viene usata per stendere i panni e appendere gli avvisi di ricerca delle persone scomparse lungo il viaggio. Ma nessuno osa avvicinarsi troppo. «Dopo la denuncia delle violenze della polizia da parte di Human Rights Watch – dice Vladimir, volontario della Croce Rossa – la caccia al migrante sembra essersi calmata, ma non si sa mai. Forse è solo perché il referendum si avvicina e i politici cercano di “ripulirsi” agli occhi dell’opinione pubblica». Il prossimo due ottobre 8 milioni di ungheresi saranno chiamati a rispondere a una domanda sul piano europeo di ridistribuzione dei profughi nei Paesi Ue. Il quesito del referendum è stato definito da più parti «ostentatamente xenofobo»: «Volete che la Ue decreti una ricollocazione obbligatoria dei cittadini non ungheresi in Ungheria senza l’approvazione del governo ungherese?».

Sajad appoggia la foto della moglie sul bordo del lavatoio. Lei è rimasta a Kabul: «Voi europei dite che non ci volete perché veniamo qui per i vostri soldi, che siamo migranti economici. Contate gli anni della guerra in Siria, sono 5. Noi siamo in guerra con i taleban da 35 anni». Lo dice di getto, poi si pente subito: «Che orrore siamo diventati, facciamo a gara tra chi è il più sfortunato…».

Una volta al giorno, alle 8 di mattina, la «porta» viene aperta: possono passare 15 persone, secondo una lista decisa in base all’arrivo. «Possono passare le famiglie, 14 persone – spiega Sayed, il capo dal campo, e il responsabile delle liste -, e un uomo da solo. Quindici al massimo. Oggi tocca ai minori soli».

Da quando Budapest ha deciso di chiudere la rotta balcanica sigillando la frontiera con 175 chilometri di barriera presidiata da 10 mila agenti – i «migrants hunters», i cacciatori di migranti -, c’è un solo modo per entrare legalmente nel Paese e proseguire il viaggio verso l’Europa: passare dalle due zone di transito autorizzate, una è a Horgos, dove stanno gli afghani, l’altra è Kelebia, dove aspettano i siriani. Trenta persone al giorno.

Nulla rispetto ai flussi verso Grecia e Italia. Eppure Orban ha deciso di «implementare il muro», con una doppia barriera di filo e una strada per le pattuglie in mezzo, ha stabilito di assumere altri 3000 agenti per la «situazione drammatica ai confini» e ha spedito a casa di 4 milioni di famiglie un opuscolo – firmato, e pagato, dal governo – in cui esorta gli ungheresi a «mandare un messaggio a Bruxelles»: nelle 18 pagine in carta patinata si spiega in sintesi per cosa andranno a votare gli ungheresi, e cioè per «difendere l’Ungheria» dai terroristi, l’Europa dall’invasione, la «nostra cultura minacciata dai ricollocamenti voluti dalla Ue» (che poi sarebbero 1200 in tutto). Contraddittorio, ma nessuno sembra farci caso. L’opuscolo si conclude con le «no go zones», le zone in cui sarebbe meglio non andare per l’alto tasso di immigrati: Parigi, Stoccolma, Göeborg, Bruxelles, Berlino, Marsiglia. Sono i «consigli di viaggio» del governo.

Se Orban ha deciso di fortificare il muro, la Serbia non sta a guardare: il governo ha promesso «misure più drastiche, comprese barriere ai confini» per contenere il «flusso continuo e incontrollato di arrivi», nonostante la chiusura della rotta

Attualmente in Serbia si trovano circa 5 mila migranti, per lo più a ridosso della frontiera settentrionale con l’Ungheria, ma finora Belgrado si era sempre opposta all’idea di erigere barriere anti-immigrati. E se la Serbia si avvicina a Orban l’asse con la Polonia ora sembra più che un’alleanza politica una luna di miele in chiave anti Ue: «C’è un detto in Ungheria per spiegare che ti fidi di qualcuno. Noi diciamo che “puoi andare in una stalla e rubare i cavalli insieme”», ha detto Orban. Dall’altra parte del confine il leader del Pis, il partito ultraconservatore al governo, Kaczynski ha risposto all’amico con un sorriso: «C’è una stalla molto grande, chiamata Unione europea, nella quale possiamo rubare cavalli insieme».

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lastampa/Lungo il muro di Orban: “Così noi ungheresi difendiamo l’Europa dall’invasione” MONICA PEROSINO – INVIATA A ROSZKA (UNGHERIA)


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