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Soro: ‘Il fatto è che la tutela della privacy sul web è di fatto impossibile’

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Possiamo parlare della maggiore o minore efficacia degli strumenti, della lentezza dei giudici o degli organi di controllo, però bisogna anche essere onesti: la tutela di una persona che finisce in un meccanismo del genere è praticamente impossibile». Il primo moto di Antonello Soro, garante per la privacy, è di compassione, pena, indignazione di fronte al caso di Tiziana Cantone, la 31enne che martedì si è tolta la vita perché perseguitata dal filmino hot diffuso su internet.

Dottor Soro, ma non c’era il diritto all’oblio?  

«C’è ed è tutelato, ma non sempre basta a eliminare le conseguenze provocate da una diffusione virale e non risolve il problema che è a monte e che è il vero motore di questi drammi».

Cioè?  

«La prima questione è quella della consapevolezza delle insidie che affrontiamo ogni volta che consegniamo alla Rete pezzi sempre più importanti della nostra vita privata. Una consapevolezza carente».

La seconda?

«È la ferocia e la violenza della nostra società. I social network sono lo specchio della mancanza di rispetto nei confronti delle altre persone, il continuo calpestare la dignità degli altri. È una questione che viaggia in parallelo con il diritto alla privacy: quando riguarda noi, lo difendiamo con le unghie e con i denti. Quando riguarda gli altri…».

E il diritto all’oblio è impotente contro questa violenza?  

«Il diritto all’oblio ci pone interrogativi più generali, ma interviene sul mezzo – Internet – non sulle persone che popolano internet. Si può certamente cancellare, correggere errori pubblicati in rete, ma è impossibile una rimozione totale se prima non si interviene sul livello di odio e sull’invasione della sfera privata delle persone».

Qualcuno potrebbe dire: però è stata lei a farsi fare quei filmati…

«E qui torniamo alla questione iniziale, quella della consapevolezza. Senza quest’ultima, è un errore che poteva capitare a chiunque. Poi, però, la vicenda ha assunto dimensioni tali da diventare difficilmente affrontabile con i normali strumenti di tutela».

È difficile eliminare un video da una piattaforma in rete?

«In passato alcuni grandi social network o piattaforme si sono sottratti alle proprie responsabilità, ultimamente sono diventati più collaborativi. È un tema però complicato che oscilla su posizioni estreme: penso per esempio alle recenti polemiche sull’utilizzo di un algoritmo che censura la foto storica di Kim Phuc della bambina che scappa dall’attacco al napalm in Vietnam perché la riconosce come possibile foto pedo pornografica e al prendere tempo di un social network di fornire alla Procura di Milano le conversazioni di due terroristi che poi sono fuggiti».

Torniamo alla vicenda di Tiziana Cantone: detto che tutti rischiano di finire in un meccanismo del genere e che gli strumenti di tutela a volte non bastano, come ci si può difendere?  

«Educando. Non sono favorevole a divieti e soluzioni neoluddiste. L’era digitale non è una prospettiva, ci siamo già dentro. E non è distinta dalla realtà, anzi è sempre più la realtà. Ritengo che sia utile preparare le generazioni future introducendo la materia di educazione civica digitale fin dalla prima elementare».

Insegnare dunque sia a essere prudenti nell’utilizzo di Internet sia a non aggredire quando si è dall’altra parte?  

«Esattamente. Perché purtroppo, quando si agisce con gli altri strumenti, purtroppo a volte ormai la tragedia si è già verificata».

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