L’Occidente che non ha più paura della morte: l’abbandono dei riti funebri e dei cimiteri

L’Occidente che non ha più paura della morte: l’abbandono dei riti funebri e dei cimiteri...

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L’Occidente che non ha più paura della morte: l’abbandono dei riti funebri e dei cimiteri

Sin dalle prime forme di civiltà, l’epilogo della vita di un singolo individuo ha avuto ripercussioni sull’intera collettività, a livello affettivo (con il lutto dei parenti e dei prossimi) e a livello economico (l’ereditarietà, la divisione dei ruoli e del lavoro ed altri processi.) Per questo motivo la morte è, e deve essere considerata, un “fatto sociale”. La morte di una persona pone una crisi, non soltanto nel gruppo familiare, ma anche in quello più ampio della discendenza, del clan, della tribù, della società locale. L’equilibrio della vita collettiva si rompe e questo “vuoto sociale” è determinato dall’intensità e dell’importanza della posizione che il defunto aveva nella vita della società e dall’influenza dei gruppi di cui faceva parte. Per questo motivo la morte è vissuta dalla comunità come una minaccia per la coesione sociale. Minaccia alla quale le prime organizzazioni sociali come le tribù, per lunghissimi periodi, hanno contrapposto una serie di mezzi mistici e rituali che inducono gli individui, attraverso comportamenti esclusivi predisposti secondo i paradigmi della società di riferimento, a stigmatizzare e, in alcuni casi, “deridere” la Paura della Morte. Ecco allora che entrano in funzione i riti delle esequie, necrologi ed epigrafi, l’ultimo saluto al cadavere, le veglie funebri, le messe di anniversario, il cordoglio e le espressioni di condoglianze da parte di amici e conoscenti, tutti rituali che non solo aiutano nell’elaborazione del lutto, ma trasformano la morte da “fatto sociale” in “momento socializzante”.

Non importa quale si voglia prendere in analisi, tutte le culture primordiali hanno avuto come elemento d’incontro la partecipazione della comunità al rito funebre. Si pensi alle grandi celebrazioni decennali per la morte dei Faraoni, o ai giochi organizzati in onore dei Grandi Eroi achei, delle vere e proprie “mini-olimpiadi” dedicate al valore dei guerrieri che si erano distinti in battaglia.
A proposito del mondo greco: dopo i riti tradizionali per propiziare al defunto un viaggio tranquillo nell’Ade, tutti gli individui della comunità erano invitatati a porgere una propria ciocca di capelli sul rogo, come simbolo della perdita collettiva; usanza che sopravvive ancora oggi, specialmente in alcuni paesi del Sud Italia, dove le donne del paese piangono i defunti strappandosi alcune ciocche di capelli.
Si pensi oppure a realtà ben più lontane, come alla pratica Hindu-Balinese del Ngaben, che consiste nel trasportare il corpo del defunto in festa, su un carro allegorico molto simile alle nostre tradizioni carnevalesche, per “disperdere” l’ansia di una vita ultraterrena.
In seguito nell’età dei lumi, in Occidente, la Paura della Morte ha perso gran parte della propria funzione socializzante, con la nascita del rito privato cattolico e con la razionalizzazione del lutto. Questo, insieme all’allontanamento dei morti dal luogo dei vivi (le sepolture passarono dalle chiese e dalle case a luoghi specifici fuori dalle mura della città), imposto dalle leggi napoleoniche nel 1804, ha ulteriormente indebolito il legame con i nostri defunti.
Dalla metà del XX secolo, dopo le due grandi guerre, l’atteggiamento nei confronti della morte è diventato persino più freddo: nel secondo dopoguerra abbiamo assistito alla nascita della società capitalistica protesa, non solo verso un “progetto” consumistico, ma anche verso il controllo delle emozioni e della affettività.  L’idea della morte – simbolo supremo dei limiti all’agire umano – quasi non esiste, è rimossa. Ogni uomo è sostituibile.
Nel chiuso dei cimiteri, abbandonando il cordoglio pubblico – salvo in pochissimi casi – in favore del rito privato, la morte assume, oggigiorno i tratti di un evento circoscritto o, ancor più gravemente, rivestito di un’impietosa quotidianità.

Ecco, allora, che quel sentimento di familiarità con la morte si affievolisce sempre di più. Anche i riti funebri si svuotano della loro carica drammatica e simbolica. Il lutto è ormai considerato uno stato d’animo che si deve abbreviare e cancellare nel più breve tempo possibile.
Quasi come per somatizzazione, anche il Cimitero inteso come luogo fisico viene sempre di più abbandonato. Non è raro infatti, trovare cimiteri cittadini completamente abbandonati a se stessi, privi di manutenzione o addirittura “saccheggiati” da vandali.
Sul web, un luogo virtuale dove ogni dichiarazione viene quasi deresponsabilizzata dall’autore stesso, ma non da chi legge, questo tema viene affrontato ancor più con leggerezza, attraverso discorsi d’odio, auguri di morte e dissacrazioni che troppo spesso superano le proprietà della satira.
La pedagogia in tutto questo sta fallendo: la società post-moderna ha visto indebolirsi la propria capacità di mettere a fuoco il grande tema della morte, anestetizzando quasi del tutto il timore di essa, arrivando persino a banalizzarla, svalutando di conseguenza il dono che è la vita.

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A CURA DI MARIO CALABRESE

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