Confermata condanna all’ergastolo a Michele Omobono, “o marsigliese”

Chiuso uno dei periodi più bui della storia criminale stabiese: ergastolo per Massimo Scarpa, alias...

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Chiuso uno dei periodi più bui della storia criminale stabiese: ergastolo per Massimo Scarpa, alias “o napulitano”, e Michele Omobono, detto “o marsigliese”

Confermata condanna all’ergastolo a Michele Omobono, “o marsigliese”

La Cassazione ha confermato la condanna inflitta, dalla Corte d’Assise d’appello di Napoli, il 21 marzo 2018 a Massimo Scarpa, alias “o napulitano”, e Michele Omobono, detto “o marsigliese” ed ex “cutoliano”.

Il 62enne Scarpa e il 65enne Omobono, considerati i capi del gruppo scissionista che innescò una guerra senza esclusione di colpi sono stati condannati in via definitiva e la pena di Omobono decorrerà dal 26 novembre 2023.

Massimo Scarpa, alias “o napulitano”, e Michele Omobono, detto “o marsigliese” sono detenuti da anni e nel 2004 innescarono la faida e la scissione dai D’Alessandro ammazzando due pezzi da novanta del clan e dichiarando così guerra alla cosca del quartiere Scanzano.

I delitti risalgono al 2004, il processo di primo grado al 2007, l’appello al 2018, la sentenza della suprema corte a luglio.

Tra le pene accessorie, per Omobono è stato disposto l’isolamento diurno per un anno a partire dall’inizio di espiazione della condanna all’ergastolo.

La suprema corte ha confermato anche le condanne per Raffaele Martinelli e Giovanni Savarese (17 anni) e Raffaele Carolei (17 anni e mezzo), imputati nello stesso processo con i rispettivi boss.

La storia.

Insieme a Massimo Scarpa, Michele Omobono, nato il 7 maggio 1954 a Castellamare di Stabia, è ritenuto responsabile di due omicidi commessi il primo giugno e il 23 settembre 2004 con i quali, secondo i giudici, volevano ripagare con la stessa moneta il clan D’Alessandro per i loro morti nella guerra di mafia degli anni Ottanta, vinta dai D’Alessandro e durante la quale Scarpa aveva perso il fratello.

Le vittime furono Giuseppe Verdoliva e Antonio Martone, uccisi nel tentativo di scalzare il clan D’Alessandro, egemone al quartiere di Scanzano, a Castellammare. Verdoliva era stato per anni l’autista del boss Michele D’Alessandro, mentre Martone era il fratello di lady camorra Teresa Martone e quindi il cognato di quest’ultimo.

Martone fu raggiunto nell’area portuale stabiese da due sicari che lo crivellarono di colpi. Per lui non ci fu nulla da fare. La crudeltà del commando armato fu tale che morì sul colpo. A distanza di qualche settimana anche Verdoliva fu vittima della sanguinosa faida di camorra. L’uomo fu ucciso poco prima del suo ingresso a Fincantieri, indotto nel quale lavorava da alcuni anni.

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