GIARABUB 1941: UN MITO NELLA DISFATTA

GIARABUB, un’oasi libica, lontana ed isolata, difesa da un piccolo reparto, diventa, nel marzo 1941, il...

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GIARABUB, un’oasi libica, lontana ed isolata, difesa da un piccolo reparto, diventa, nel marzo 1941, il simbolo della resistenza ad oltranza alla preponderanza bellica britannica.

Oggi pochi sanno dove sia e cosa abbia rappresentato l’oasi libica di Giarabub, in Cirenaica, negli anni ’40 e ‘41. Lo sanno quelli della mia generazione, i figli della guerra: è stato un simbolo, un mito, un’esaltazione eroica.
Di Giarabub si comincia a parlare nel 1856 quando un “santone” musulmano, Mohammed-ibn- Ali Es-Senussi, vi si trasferisce con alcuni discepoli fondandovi una setta. Diventa un centro di studi rinomato nel mondo islamico con una biblioteca di oltre 8.000 volumi. La confraternita dei Senussi, dopo l’occupazione italiana del 1912, animerà un’accanita guerriglia che si concluderà con l’impiccagione del capo spirituale e militare, l’inafferrabile Omar-el- Muktar. Un membro della confraternita, Idris al-Senussi, che durante il conflitto si schiera col suo clan dalla parte del Regno Unito, sarà proclamato re della Libia indipendente il 24 dicembre 1951.
Il possesso dell’oasi è riconosciuto all’Italia solo nel 1926 col regolamento dei confini fra la colonia italiana di Libia e l’Egitto. Il 7 febbraio 1926 vi s’insedia un Presidio militare italiano. Giarabub è situata ad un incrocio di carovaniere in pieno deserto libico a circa 250 km. dalla costa cirenaica, a sud di Tobruk, in una zona completamente disabitata. Manca l’acqua potabile: è dotata solo di piccole conche acquitrinose salmastre, ricche di magnesio e cloruro di sodio alla quale solo gli Arabi sono assuefatti. La sua posizione strategica è molto importante: a ridosso del confine egiziano controlla le strade che dal sud portano sulla costa e alle spalle del Gebel cirenaico, su un itinerario che, per l’oasi di Gialo, rappresenta una scorciatoia per la stretta di El Agheila, al confine con la Tripolitania. È là che sarà fermata, per
quattro mesi, l’offensiva britannica nel settore sud nel marzo ‘41.
Il 10 giugno 1940 Mussolini, smanioso di mostrare le virtù guerriere del popolo, entra in guerra perché ha bisogno del “migliaio di morti da gettare sul tavolo della pace”, ritenendo ormai vicina la fine della blitzkrieg scatenata dal suo alleato tedesco. La sua strategia ha dell’inverosimile: dichiara la guerra ma con le Forze Armate in “strategia difensiva”! Non si attacca né la Francia in Tunisia, ormai al collasso, né gli Inglesi in Egitto che, all’epoca, hanno un modesto contingente. Eppure, secondo logica, chi dichiara la guerra dovrebbe farlo per sconfiggere il nemico, ovviamente attaccandolo, avendo per di più il vantaggio della prima mossa.
La preparazione alla guerra in Libia ha dell’incomprensibile: il giorno prima della dichiarazione di guerra vengono sostituiti, per limiti di età, il comandante della X Armata e del XXII Corpo d’Armata, grandi Unità schierate in Cirenaica. Ma non basta: il nuovo comandante dell’Armata non è mai stato in Africa, quello del Corpo d’Armata dovrà giungere dall’Albania. Come se non bastasse il nuovo comandante della Divisione di Fanteria Marmarica non ha ancora assunto il comando, il vicecomandante dovrà rimpatriare e il nuovo comandante della 1^ Divisione Libica non ha alcuna conoscenza di truppe coloniali. Più che la vigilia di una guerra sembra la predisposizione caotica ad un incontro di risiko!
L’Esercito italiano in Libia ha due Armate (5^ e 10^) forte di circa 220.000 uomini per la quasi totalità appiedati. Gli Inglesi, di contro, possono disporne di circa 50.000 a difesa del confine e del canale di Suez, ma completamente automontati, forti anche di una Divisione corazzata. D’altronde la guerra moderna, per di più in una zona desertica, è necessariamente guerra di movimento e oltre agli uomini ed ai veicoli c’è bisogno di mezzi corazzati e, soprattutto, di un’organizzazione logistica. Gli Inglesi hanno, alle loro spalle, le basi ravvicinate e dispongono di forti scorte di carburante e viveri. La Libia invece è rimasta agricola e dipende, per tutto, dalla Madrepatria con di mezzo il mare.
La situazione si complica quando il Governatore e comandante supremo della Libia, Italo Balbo una delle poche menti lucide del Regime e come tale confinato in Colonia (uno di quelli che aveva osteggiato non solo l’alleanza con la Germania nazista ma anche l’entrata in guerra), cade col suo aereo, scambiato per nemico, il 28 giugno. E qui un’altra trovata geniale: lo sostituirà il Maresciallo Graziani il quale, stando in Libia, conserva l’incarico di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, la cui sede naturale è Roma.
Le Armate italiane, non disponendo di veicoli per la mobilità, restano ferme sulle loro posizioni. Gli Inglesi, che dovrebbero difendersi, con forti pattuglie mobili, effettuano colpi di mano ai danni dei Presidi isolati lungo il confine. Sono così sopraffatti alcuni presidi difesi da scarsi contingenti libici. Non c’è disponibilità di efficienti armi controcarro: alle autoblindo britanniche armate di cannone è possibile opporre il carro amato “L 35”, di 3 ton., armato con due mitragliatrici da 8 mm.
Mussolini insisterà successivamente per un’offensiva temendo la fine della guerra senza ottenere vantaggi territoriali. Finalmente Graziani, ricevuta dopo notevoli insistenze un’aliquota di autocarri, attacca il 13 settembre, a 3 mesi dalla dichiarazione di guerra ma, dopo poco più di 150 km, il 18 si ferma per ricompattare le truppe e predisporre basi logistiche. Ci sarebbe un modo per proseguire e sfondare, accettare la proposta tedesca di due Divisioni corazzate ma la propensione alla guerra con le baionette, tanto divulgata dal Duce, fa declinare l’offerta: Mussolini vuole una guerra tutta sua. Per di più il 28 ottobre decide l’aggressione alla Grecia dove sarà poi indispensabile l’intervento tedesco per toglierlo d’impaccio.
Il 9 dicembre, con l’offensiva britannica nella quale fanno la loro prima apparizione i carri armati Mathilda da 50 tonnellate (che dovremmo contrastare con i nostri da 3!), l’Armata di Graziani si sfalderà lasciando agli Inglesi circa 130.000 prigionieri, che significa l’azzeramento di 5 Divisioni di Fanteria, con una ritirata fino alla stretta di El Agheila, al confine della Tripolitania.
È in questa disfatta che emerge la difesa eroica di Giarabub, che riscatta l’onore e la dignità dell’Esercito italiano. Il settore di competenza corre lungo la linea di confine a sud di Bardia, su circa 200 chilometri, articolato su posti di osservazione presidiati a livello di squadra (Barra Arrascia, El Aamra, El Facri, Baharia e Gara del Diavolo) e di sbarramento per la difesa avanzata (sei km. circa), presidiati a livello di plotone (Uescechet el Heira, Garn ul Grein, Garet el Barud, Garet el Cuscia, Garet el Nuss). A circa tre chilometri un piccolo campo d’aviazione. La vigilanza è attuata con veicoli leggeri armati di mitragliatrici. I rifornimenti giungono per mezzo di autocolonne. Una richiesta di autoblindo non può essere esaudita perché, almeno in quel periodo, in Libia mancano.
L’organico è composto da quattro compagnie di Fanteria Libica ed una di mitraglieri automontata, una compagnia del Genio libica, sette Carabinieri (dei quali cinque libici) e due Guardie di Finanza. L’armamento consiste in due cannoni “65/17”, 56 mitragliatrici, bottino della grande guerra, e dodici fucili mitragliatori. Manca la difesa contraerea. Il munizionamento di una scarsità impressionante è sufficiente per qualche giornata; solo quello dei fucili arriva ad una quindicina di giorni. Il comandante è un maggiore di Fanteria, Salvatore Castagna, trasferitovi in aprile dall’8° Battaglione Libico di stanza a Bardia.
Anche il settore di Giarabub è interessato da puntate delle autoblindo australiane con base nell’oasi egiziana di Siwa, anch’essa in pieno deserto.
In questa prima fase si evidenzia l’assenza di apprestamenti difensivi che possano bloccare incursioni nel mare magnum del deserto. Con fantasia tipicamente italiana vengono costituiti campi minati con bombe d’aereo e spezzoni, unico munizionamento disponibile. In funzione anticarro saranno impiegate bottiglie di benzina. Comunque le incursioni terrestri non riescono ad avvicinarsi all’oasi per la forte reazione dei vari presidi della difesa avanzata. Ai primi di luglio la pressione nemica rallenta e giungono finalmente i rifornimenti e, soprattutto, quattro cannoni da 47/32 con artiglieri nazionali. Solo in settembre, in occasione dell’offensiva sulla fascia costiera, è possibile riprendere il collegamento terrestre. Il 27 giungono, infatti, i rinforzi: sono ricostituiti tutti i presidi ed i posti di osservazione evacuati durante il primo assedio. I presidi saranno dotati di almeno due cannoni e mitragliere antiaeree ed ognuno avrà una forza organica di circa 300 uomini. Giarabub disporrà di 550 nazionali e 750 libici. Meglio tardi che mai!
Con l’offensiva britannica di dicembre anche i presidi di Giarabub saranno interessati: la ritirata sulla costa assume le caratteristiche della rotta ma Giarabub resta una spina nel fianco dello schieramento nemico. Il 4 dicembre è il giorno dell’ultima autocolonna di rifornimento che raggiunge l’oasi. Nei giorni seguenti cedono i presidi più distanti ed il personale ripiega su quelli della difesa esterna e a Giarabub.
Ciò aggrava la situazione logistica e la razione di viveri ed acqua viene ulteriormente ridotta. Sono razionate perfino le munizioni.
L’artiglieria nemica, con i suoi “88”, non dà tregua ed ha il vantaggio della maggiore gittata (9 km.). Per arrecare un certo fastidio viene avanzato sulla difesa esterna un solo cannone da “77” (7 km. di gittata) che, quindi, non può contrastare l’artiglieria nemica. Il rifornimento saltuario è ormai attuato con lanci aerei. Il 9 febbraio, con gl’Inglesi ormai al confine della Tripolitania, il Comando Superiore informa che non è più possibile inviare rifornimenti e autorizza la resa. L’improvviso lancio di viveri il 27 febbraio sarà interpretato come l’imminenza della controffensiva: si saprà solo dopo che è il gen. Rommel, giunto a Tripoli il 12 febbraio per predisporre l’arrivo delle forze corazzate tedesche, a capire l’importanza strategica di Giarabub e chiedere di tenerla in vita. Mussolini è stato, infatti, costretto a chiedere l’aiuto tedesco per evitare la perdita definitiva della Colonia. Finisce così la guerra parallela Duce!
Nell’oasi intanto si organizzano quattro capisaldi a livello di compagnia. Purtroppo il 6 marzo gli Australiani consolidano l’accerchiamento intensificando la pressione con attacchi continui che fino al giorno 19, nonostante alcuni ripiegamenti strategici delle difese avanzate, costringeranno, con tenaci contrattacchi, gli assalitori perfino alla ritirata. Il 18 però il cerchio è stretto intorno all’oasi e non è più possibile uscirne. Di fronte agli strenui difensori c’è ormai l’intera 6^ Divisione australiana che stringe da ogni lato. La stessa sera del 18 un caposaldo subisce alcune infiltrazioni che sono respinte, così il giorno seguente. Il 20 marzo ci sono ancora tre pezzi di artiglieria che possono fare fuoco ma in serata finiscono le munizioni: è la fine!
Nelle prime ore del mattino del 21 marzo 1941, col favore dell’infido ghibli africano, gli Australiani sferrano l’attacco risolutivo anche con l’intervento a bassa quota dell’aviazione. Nella tarda mattinata cade il primo caposaldo interno e viene catturato il comandante Castagna ferito alla testa. Le munizioni sono ormai finite e gli Australiani dilagano contrastati solo alla baionetta. C’è però ancora il tempo di ammainare il Tricolore e bruciarlo perché non costituisca un trofeo. Giarabub cade il 21 marzo 1941, dopo quattro mesi d’assedio, con l’ammirazione dello stesso nemico. I Caduti, nella sola fase finale, sono circa 500 fra nazionali e libici.
Intanto in Italia da tempo si segue con trepidazione la sorte di questo lontano presidio sperduto nel deserto cirenaico. Ricordo la mia ansia di fanciullo nell’ascoltare alla radio il quotidiano Bollettino di guerra del Comando Supremo con le scarne notizie, spesso mascherate da esigenze di propaganda, che solo mio padre forse riusciva in qualche modo a decifrare. Si ascolta in piedi per rispetto verso chi combatte e “muore per la Patria”: Giarabub è citata per ben 30 volte da gennaio a marzo del ’41. Dai primi di marzo occupa quasi quotidianamente un piccolo spazio nelle notizie dai fronti di guerra. Lo sconforto giunge col Bollettino n. 288 del 22 marzo: “Nell’Africa settentrionale, il nostro piccolo  presidio di Giarabub, al comando del tenente colonnello Castagna, rimasto ferito in combattimento, dopo strenua difesa durata quattro mesi, è stato sommerso dalla prevalenza delle forze e dei mezzi avversari.” La propaganda del Regime non può farsi sfuggire una tale occasione che esalta le virtù guerriere del popolo secondo la concezione del suo condottiero. È così che nasce la canzone “La saga di Giarabub” che esorcizza la sconfitta, se pur onorevole. Le parole sono epiche: “Colonnello non voglio pane, dammi piombo pel mio moschetto… Colonnello non voglio il cambio, qui nessuno ritorna indietro, non si cede neppure un metro, se la morte non passerà”. E conclude con la frase esaltante, non certo profetica nel suo verso finale: “Colonnello non voglio encomi, sono morto per la mia terra, ma la fine dell’Inghilterra incomincia da Giarabub”. Il testo completo è in calce. Nel 1942 sarà anche prodotto un film dal semplice titolo “Giarabub” nel quale farà una breve apparizione un Alberto Sordi alle prime armi nel ruolo di un tenente.
Ancora oggi provo emozione quando riecheggiano nella mia mente le note dell’inno che la mia maestra delle elementari ci faceva cantare a scuola tante volte, nell’intervallo fra una materia e l’altra, e che infiammavano la mia fantasia di bambino del Regime.
Il comandante del presidio, decorato di medaglia d’argento al V. M., è promosso sul campo per meriti di guerra. Le ferree leggi del Regime lo avevano valutato idoneo alla promozione già da tempo ma non promosso perché scapolo e come tale non predisposto all’incremento del popolo degli otto milioni di baionette secondo la mistica fascista. Infatti, l’idoneità professionale, nell’Italia fascista, è seconda a quella … riproduttiva. In questo caso, però, la legislazione di Regime, per un popolo guerriero, ha previsto l’eccezione per chi dimostra sul campo particolari virtù militari. Il ten.col. Castagna il 21 maggio sarà insignito anche della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Soffrirà la prigionia in India e rientrerà in Italia il 23 novembre 1946, accolto a Napoli con manifestazioni calorose da chi non aveva dimenticato. Nel 1948, ormai colonnello, comanderà il Reggimento di fanteria Nembo nel quale, dieci  anni dopo, avrei avuto il privilegio di prestare il mio servizio militare di leva. Promosso generale, morirà nel febbraio 1977.
Anche ad anni di distanza e con una guerra perduta credo sia doveroso il ricordo di quel pugno di combattenti, italiani e libici, che, al di là di ogni esaltazione propagandistica e ideologica, con enormi sacrifici, con mezzi inadeguati, furono mandati allo sbaraglio, senza speranza, obbedendo solo al dovere di soldati, per l’insipiente megalomania del suo condottiero. Combatterono con valore sacrificando le loro giovani vite credendo nei valori della Patria. Non sapevano che avrebbero fatto parte di quel migliaio di morti, che si centuplicheranno negli anni successivi, gettati poi sul tavolo della resa e non della vittoria.
Certamente, però, non erano stati sconfitti.
Onore ai Caduti, nazionali e libici, di Giarabub!

LA SAGA DI GIARABUB
(di Ruccione, De Torres e Simeoni)
Inchiodata sul palmeto
veglia immobile la luna;
a cavallo della duna
sta l’antico minareto.
Squilli, macchine, bandiere,
scoppi, sangue…dimmi tu
che succede cammelliere?
È la saga di Giarabub!
“Colonnello non voglio pane:
dammi piombo pel mio moschetto;
c’è la terra del mio sacchetto
che per oggi mi basterà.
Colonnello, non voglio l’acqua:
dammi il fuoco distruggitore:
con il sangue di questo cuore
la mia sete si spegnerà.
Colonnello non voglio il cambio:
qui nessuno ritorna indietro:
non si cede neppure un metro
se la morte non passerà!”

Spunta già l’erba novella
dove il sangue scese a rivi…
Quei fantasmi in sentinella
Sono morti o sono vivi?
E chi parla a noi vicino?
Cammelliere non sei tu?
In ginocchio pellegrino:
son le voci di Giarabub!
“Colonnello non voglio pane…
“Colonnello non voglio il cambio:
qui nessuno ritorna indietro:
non si cede neppure un metro
se la morte non passerà!”
“Colonnello non voglio encomi:
sono morto per la mia terra…
Ma la fine dell’Inghilterra
incomincia da Giarabub!”

Giuseppe Vollono

 

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