span id="m_8651853632542709458docs-internal-guid-3e577291-8e11-7497-c746-258d0ee84b95">Il prefetto di Torino chiede al governo 50 militari per riportare il controllo dello Stato nella zona dell’ex villaggio olimpico dopo le violente tensioni delle ultime 36 ore. Gli scontri fra gruppi di ultras e immigrati sono stati innescati da una aggressione da bar e sono degenerati con il lancio di tre bombe carta contro il “Moi”. È un’escalation che rivela la carenza di sicurezza in una parte della città e non può essere ignorata.
“Ci chiamano scimmie, ci minacciano. Allah ci guiderà nella vendetta”
Viaggio nell’ex villaggio olimpico diventato una polveriera sociale
Undici ore dopo l’aggressione al Moi, dopo le bombe lanciate contro l’ingresso delle palazzine colonizzate da quasi mille e 500 migranti, molti dei quali clandestini, in questo scampolo di città dove tutto è possibile, lecito e pure tollerato, la rabbia ha le parole di questo ragazzo del Camerun bagnato fradicio: «Siamo nulla per questa città. Siamo nel mirino di gente che non capisce che anche noi siamo ragazzi e vorremmo una vita decente». Lo dice gridando. E la rabbia s’allarga, contagia anche chi, fino ad ora, aveva solo ascoltato i racconti e le proteste.
LEGGI ANCHE – Dopo Milano anche Torino chiede aiuto all’esercito: bombe carta al Moi
Su, al primo piano, invece, c’è ancora chi dorme. Hanno passato la notte in strada e adesso se ne stanno lì, sette, otto anche dieci per stanza, distesi su materassi recuperati chissà dove. Separé di compensato, coperte fin sotto gli occhi, puzza di scarpe, di bagnato, di chiuso. Ma almeno qui c’è la luce. «Sono del Ghana, io ieri sono sceso. Avevo paura, ma sono andato in strada» racconta. Hai il permesso di soggiorno? «Ho i documenti». In regola? «Sì, ma me li hanno presi». Un’altra stanza. C’è più luce e una tv accesa su un canale arabo. Un letto, un’infilata di pentole e due ragazzi che non parlano con nessuno. Scale buie. Si sale ancora di un piano: scalini sporchi, incrostati da anni di pulizie mai fatte. Ragazzi che salgono e scendono. Quelli dell’immigrazione della Questura hanno parlato con molti di loro, per farsi un’idea di chi c’è lì dentro. Gli hanno raccomandato di non uscire: «Non accettate provocazioni». Ma vallo a spiegare a questi ragazzoni ventenni o poco più. E in questa mattina di pioggia e di sirene, di divise, di curiosi e di gente del quartiere infuriata, le palazzine arancione, rosa, blu, verde e grigia, sono in fermento. Non ha aperto nemmeno il chiosco dei panini – abusivo – che un profugo s’è inventato qualche settimana fa. E non c’è neppure il banco di scarpe usate, che di solito è sul retro della palazzina arancione, nel cortile. Funzionano solo i negozi: sgabuzzini grossi un pugno, senza autorizzazioni partite Iva o contabilità registrata. Vendono bibite, patatine, saponi, shampoo, scatolette, dolci. «Mi dai del cioccolato per favore?» E la tavoletta di Lindt al latte passa di mano: «Un euro». Come fanno a guadagnare? Nessuno vuole o sa spiegartelo. Neanche il ragazzo che gestisce questo stranissimo spaccio al blocco blu.
A sera, quando finalmente riapre il paninaro clandestino la calma sembra essere tornata. «Ma voi italiani adesso dite ai vostri figli che non siamo cani. Teneteli tranquilli, perché la nostra pazienza prima o poi finirà. E allora anche noi andremo a prendere latte di benzina da lanciare contro le vetrine» pontifica un altro senza nome, originario del Camerun o chissà di dove. «Un morto nostro, un morto degli altri», teorizza in questa sorta di occhio per occhio che se partisse non finirebbe mai. E invoca Allah, parla del Bataclan che è stata la vendetta degli esclusi, di morti e di pace. Preoccupante? Forse. Ma ha anche il sapore del delirio di uno che si sente sotto attacco.
vivicentro.it/nord/cronaca
vivicentro/Guerriglia a Torino, arrivano i soldati
lastampa/“Ci chiamano scimmie, ci minacciano. Allah ci guiderà nella vendetta” LODOVICO POLETTO
Lascia un commento