Gli Ogm nascosti nei piatti di Natale SALUTE
Tortellini, faraone e panettoni: il pranzo di Natale è servito, con gli Ogm nel piatto. L’Italia vieta la coltivazione di organismi geneticamente modificati, non l’importazione né la commercializzazione. Il dibattito si accende: minacciano la biodiversità o aiutano a sfamare la crescente popolazione mondiale?
Dai panettoni ai prosciutti: l’Ogm c’è ma non si vede
L’Italia vieta la coltivazione di organismi geneticamente modificati, non l’importazione. Senza insetticidi però la biodiversità è a rischio
Dopo oltre venti anni dal loro ingresso nel mercato – nel 1994 viene prodotto negli Usa il primo pomodoro transgenico, oggi circa il 10% dei terreni nel mondo sono coltivati a piante Ogm – la discussione rimane rovente: rischiosi o innocui? Il loro consumo diminuisce l’impiego dei pesticidi e tutela meglio la nostra salute o affama gli agricoltori legandoli alle poche multinazionali che li producono? Minaccia la biodiversità o aiuta a sfamare la crescente popolazione mondiale? E i cittadini sono informati in modo corretto?
Contrari e favorevoli
La posizione di Slow Food è netta: «La biodiversità è a rischio: le varietà transgeniche occupano grandi superfici e fanno parte di sistemi di monocoltura intensiva che distruggono altre colture e ecosistemi. Le colture Gm snaturano il ruolo degli agricoltori: i produttori hanno sempre migliorato e selezionato da soli le proprie sementi. Le sementi Gm, invece, sono proprietà di multinazionali alle quali l’agricoltore deve rivolgersi a ogni nuova stagione, perché gli Ogm di seconda generazione non danno buoni risultati». Ed è condivisa dalla Coldiretti: «Per l’Italia gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo problemi di sicurezza ambientale, ma perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico del Made in Italy», dichiara il presidente Roberto Moncalvo.
Chi ha seminato mais Ogm alla luce del sole, esponendosi a denunce, multe e affrontando i tribunali in Italia e in Europa, è stato Giorgio Fidenato, agronomo e proprietario di una piccola azienda ad Arba, in provincia di Pordenone: «Voglio ottenere mais senza usare insetticidi: con gli Ogm si può, perché gli insetti non attaccano quelle piante». Perché l’Italia prosegue nel divieto di semina? «Di fronte all’avanzare inarrestabile delle biotecnologie l’Italia pensa che sia meglio continuare a diffondere nel mondo l’immagine falsa di un paese da mulino bianco». Falsa? «Per fare il Prosecco o per coltivare le mele ci vogliono 15 trattamenti antiparassitari all’anno. E non venite a dirmi che il rame metallico usato nell’agricoltura biologica non è tossico».
In questi anni la principale minaccia alle nostre coltivazioni è la Piralide, un lepidottero che attacca mais, sorgo, altre colture, tra cui il peperone soprattuto nella pianura padana: la Piralide si innesta nei fusti e nelle pannocchie, gli amidi fermentano, producono microtossine ritenute cancerogene, per combatterle l’impiego di pesticidi , tra cui il glifosato, è molto aumentato. Lo IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro), in una pubblicazione del marzo 2015, ha stabilito che «l’erbicida Glifosato e gli insetticidi Malathion e Diazinon sono probabilmente cancerogeni per gli esseri umani» (il testo originale inglese dice: «Herbicide glyphosate and the insecticides Malathion and Diazinon were classified as probably carcinogenic to humans»). Altri due insetticidi altrettanto usati come il Tetrachlorvinphos e il Parathion sono stati ritenuti «possibly carcinogenic».«Altro che agricoltura biologica e prodotti indenni da trattamenti», conclude Fidenato.
Sentenze schizofreniche
Incertezza anche nell’altalena delle sentenze: a settembre 2017 la Corte di Giustiza Europea dichiara ingiustificato il divieto di coltivazione del mais MON 810, prodotto dalla Monsanto, previsto dal decreto del governo italiano del luglio 2013. La motivazione parla di «assenza di una manifesta condizione di grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente, suffragata da valutazioni scientifiche il più possibile complete». A ottobre la nostra Corte di Cassazione recepisce la sentenza dei giudici di Lussemburgo, ma nel frattempo molti Stati, tra cui l’Italia, avevano vietato la semina di Ogm anche se autorizzata dall’Unione europea. L’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) nella recente Guida per la determinazione del rischio relativo alla presenza a basso livello di piante geneticamente modificate (20 novembre 2017) non prende posizione esplicita, né a favore né contro, ma dichiara che il suo compito è avvisare «di ogni possibile rischio che l’uso degli OGM può portare alla salute degli uomini e degli animali, e all’ambiente».
Per Nino Paparella, pugliese, presidente del Consorzio Italiano per il Biologico, «quello italiano è un necessario atteggiamento precauzionale e mette in guardia dal rischio di inquinamento genetico che avviene quando il polline di una pianta Ogm si mescola con piante coltivate in modo tradizionale oppure spontanee». Ma in Italia la semina è vietata. «Tuttavia numerosi agricoltori, soprattutto in Emilia-Romagna e in Veneto, usano gli Ogm non solo come mangime animale. Segretamente lo seminano». Gli Ogm sono inattaccabili dai parassiti? «I primi anni resistono, poi i parassiti riescono ad attaccare anche queste piante, che devono essere sostituite. In India e in Cina è successo con il cotone. In Africa, le coltivazioni Ogm si stanno riducendo perché i semi delle multinazionali sono costosi e i contadini che vendono a prezzi bassi si impoveriscono».
Agricoltura pulita?
Dice Giovanni Doglio, agronomo astigiano: «Il costo del processo per arrivare a brevettare un Ogm è di circa 50 milioni di euro, solo le multinazionali possono permetterselo. Cercano di far sparire le produzioni tipiche e costituiscono una minaccia alle varietà alimentari. Inoltre le sementi modificate sono efficaci solo per qualche anno e non in una lunga prospettiva. In Italia non abbiamo le grandi estensioni agricole degli Usa, del Brasile, del Canada; ci salviamo difendendo la nostra tipicità, che va riconosciuta». Da piemontese, è preoccupato per il riso: «Sulle nostre tavole arrivano risi confezionati da paesi del Sud est asiatico prodotti da piante Ogm. L’etichettatura “riso italiano’” deve diventare obbligatoria». Gaetano Laghetti, Primo Ricercatore Cnr e curatore della banca del Germoplasma di Bari, difende il ruolo della ricerca responsabile: «L’agricoltura biologica è un ritorno al passato, quando la popolazione mondiale era molto inferiore. Nel corso degli anni la ricerca ha migliorato tutte le fasi della produzione agraria aumentando produzione e produttività. Se oggi dobbiamo sfamare 7,5 miliardi di persone non possiamo non ricorrere a tecniche intensive e a varietà migliorate, non necessariamente Ogm. Il pregio dell’agricoltura biologica è di essere rispettosa dell’ambiente il che, spesso, è meno evidente con l’agricoltura intensiva. Quest’ultima, comunque, frutto della ricerca universitaria, se applicata con criterio, non mira certo ad avvelenare l’ambiente a vantaggio della produttività, anzi». Cita I’esempio del Bangladesh dove ha avuto successo la melanzana transgenica Bt che ha ridotto del 90% l’impiego di insetticidi spruzzati da agricoltori privi di misure di protezione. Roberto Defez, attivo al Cnr di Napoli, sostiene che nonostante il divieto alla semina Ogm, in Italia «non siamo messi bene. Le nostre monoculture secolari come le viti o i meleti richiedono fungicidi a base di rame e questo inquina i terreni. Anche l’autorizzata poltiglia bordolese contiene rame, un metallo pesante legato a diverse patologie umane che rimane per decenni nei suoli e li intossica. Biologico non significa sicuro né per l’ambiente né per l’uomo».
In una sola provincia
Claudio Mazzini è il responsabile dell’area Freschissimi di Coop Italia. «Nel dubbio, preferiamo astenerci. Per questo abbiamo escluso prodotti Ogm, mangini compresi. I 35 milioni di animali di cui abbiamo bisogno sono per il 90% italiani e provengono da allevamenti controllati. E’ una scelta che ci costa 10 milioni di euro ogni anno, e riguarda tutte le fasi della lavorazione, compresi i silos, i camion, le navi di cui ci serviamo. La normativa italiana rimane comunque zoppa e non informa correttamente il consumatore: le carni non devono portare in etichetta la provenienza da allevamenti dove si usano mangini Ogm». Ritiene gli Ogm dannosi? «La mia esperienza dice che rischi alimentari non ce ne sono. Rimangono dei dubbi legati alle contaminazioni ambientali. Se uso grano transgenico, la sua resistenza si trasmetterà alle piante tradizionali?».
L’unica provincia italiana che vieta, grazie a una legge del 2001, anche i mangini Ogm è quella di Bolzano. «E’ stato difficile trovare mangini no Ogm, li abbiamo cercati ovunque, ora abbiamo la garanzia che tutta la filiera ne è esente. Se la vacca mangia Ogm, non si scappa: te lo ritrovi nel latte», dice Annemarie Kaser, direttrice della Federazione delle Latterie dell’Alto Adige. «Il processo di controllo è più costoso, ma i consumatori sono contenti. Alla gente piacciono le garanzie». Un caso unico in Italia. Ma chi controlla? Racconta Luca D’Ambrosio, direttore del Laboratorio analisi alimenti a Bolzano: «Dopo i controlli diamo alle ditte un certificato che dimostra che non usano mangimi Ogm». E’ possibile verificare la presenza di Ogm nel latte? «Grazie alle tecniche della biologia molecolare è possibile rintracciarla nei mangimi, non nel latte. Chi compra i nostri prodotti premia l’impegno di allevatori e coltivatori. Realisticamente vedo vari fattori che hanno facilitato il rispetto di questa legge. E cioè il fatto che i nostri animali siano al pascolo, che da noi non ci siano coltivazioni molto estese e il basso numero medio delle vacche».
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