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Castellammare di Stabia

Ecoplast in fiamme, l’accaduto e le conseguenze ambientali

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coplast in fiamme, l’accaduto e le conseguenze ambientali

Sabato 18 giugno, ore 10.30 circa un incendio devastante ha coinvolto l’ecoplast, l’area adibita allo stoccaggio per la differenziata, ubicata nel comune di Motta Camastra e precisamente nella frazione di Fondaco Motta, nei pressi della Valle Alcantara.

Non si conosce ancora l’entità dei danni e le cause che hanno dato origine alle fiamme, nonostante le forze dell’ordine, i mezzi di soccorso e i vigili del fuoco si siano precipitati immediatamente sul posto.

I cittadini e la proprietà dello stabile più volte avevano paventato la possibilità di incendio, ma gli appelli non sono stati mai ascoltati. 

Nel settembre 2018 l’impianto era stato sottoposto a sequestro preventivo, per un’area di oltre 7500 metri quadrati, a causa delle numerose irregolarità rilevate in violazione dei provvedimenti autorizzativi concessi e senza rispettare le cautele e prescrizioni impartite.

Per il titolare della West Green srl, società con sede a Catania infatti, era scattata la denuncia in stato di libertà per illecita gestione e combustione di rifiuti. 

Durante l’ispezione dell’impianto che ha poi condotto, appunto, al sequestro preventivo del sito aziendale, i carabinieri del NOE di Catania insieme ai carabinieri della compagnia di Taormina guidati dal capitano Arcangelo Maiello, trovarono rifiuti stoccati senza alcuna identificazione e separazione tra le varie tipologie, conservati sia sfusi in cumuli che compattati e accatastati in blocchi al di fuori delle aree consentite, e senza rivestirli con teli di copertura, esposti agli agenti atmosferici, ed inoltre, evidenti tracce di rifiuti mescolati e bruciati in un’area di circa 100 metri quadrati.

È palese il disastro ambientale che l’accaduto ovviamente sta procurando, non soltanto al comune sito dello stabile andato in fiamme, ma anche ai paesi delle zone limitrofe. Ovviamente non si avrà contezza dei danni provocati alla vegetazione, all’allevamento e alla salute del cittadino nell’imminente, ma sappiamo bene che la ridente vallata dell’Alcantara da questo momento non avrà più la serenità interrotta da tale irrimediabile e imperdonabile “disgrazia” ambientale. 

A tal proposito ricordiamo i danni della diossina, sostanza sprigionata in queste ore nell’aria a causa dell’incendio.

Nel linguaggio comune, quando si parla di diossina si fa in genere riferimento alla TCDD (2,3,7,8 tetracloro-dibenzo-diossina), la più tossica tra tutte le sostanze appartenenti all’omonima categoria e conosciuta anche come diossina di Seveso (in riferimento al disastro avvenuto nell’omonima città nel lontano 1976). Nel Luglio di quell’anno in seguito ad un incidente occorso in un impianto deputato alla produzione di diserbanti, si liberarono ingenti quantità di diossina, con gravissime ripercussioni sulla salute degli abitanti. 

La diossina è infatti cancerogena e come tale, a concentrazioni opportune, può provocare diversi tumori – in particolare linfomi, cancro al fegato e alla mammella – malattie della tiroide, endometriosi, diabete e danni al sistema immunitario, emopoietico e riproduttivo.

Un’altra manifestazione tipica dell’intossicazione acuta da diossina è la cloracne, simile all’acne giovanile, si manifesta in qualunque parte del corpo e a qualsiasi età in seguito all’esposizione massiccia al tossico.

La pericolosità della diossina è stata confermata non solo dalle indagini medico-scientifiche ma anche dall’osservazione diretta delle ripercussioni sulla salute degli abitanti di Seveso e dei villaggi vietnamiti colpiti dall’agente Orange, un defogliante estremamente potente contenente diossina e utilizzato dagli Americani nel conflitto del 1964-1975.

La pericolosità della diossina è accresciuta dalla lunga persistenza negli ecosistemi; trasportata dalle correnti atmosferiche, in virtù della sua volatilità, ricade in zone anche molto distanti da quella di origine, contaminando l’acqua ed il terreno, per poi passare nell’alimentazione animale e da qui all’uomo.

Nell’organismo, essendo liposolubile, la diossina si concentra e accumula nel tessuto adiposo; per l’uomo l’emivita varia da 7 ad 11 anni (questo arco di tempo è necessario per “smaltire” il 50% della dose accumulata).

I fenomeni del bioaccumulo, della contaminazione su scala mondiale e dell’eliminazione attraverso il latte materno, suggeriscono anche una possibile e preoccupante possibilità di danno trans-generazionale; il pericolo, quindi, potrebbe essere concreto anche a dosi molto più basse rispetto a quelle ritenute cancerogene o comunque pericolose per la salute.

Tra i più importanti produttori di diossine vi sono gli inceneritori di rifiuti, in particolar modo quando bruciano residui plastici come il PVC ed altri composti clorati. Molto dipende comunque dalle tecnologie adottate ed in questi ultimi anni la liberazione di diossina dagli inceneritori è stata notevolmente ridotta, almeno nei Paesi che hanno adottato misure adeguate in merito. Fonti: salute.gov.it

Mariella Musso


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