Il Corriere della Sera risponde ai tifosi del Napoli sui cori razzisti di Marassi. “Ieri a Marassi i soliti cori anti-napoletani: viva il colera, Vesuvio lavali col fuoco e vergogne del genere. Durante e dopo la partita, molti messaggi di tifosi napoletani: e questi allora? Ne scriverete sul Corriere? O vi limitate a condannare le parole di Sarri e a segnalare gli eccessi del San Paolo? Ecco qui, lo scriviamo. Non è solo orribile quel che si urla negli stadi italiani: è tristemente antico. La società si muove, cambia. Intorno a un campo di calcio, invece, tutto rimane uguale. Ogni tifoseria è pronta ad offendersi per quanto subisce, ma giustifica tutto ciò che fa. Lo so: è inutile ragionare di questi temi. Saltano fuori «la fede», «il cuore», l’elogio astuto dell’irrazionale. Ma proviamoci comunque. Nessuno pretende che gli stadi siano sale da concerti. In campo si gioca a calcio, si scontrano ragazzi, sogni e memorie; nessuno chiede silenzi attenti e commenti forbiti. Ma quello che accade negli stadi d’Italia — quasi tutti — è strabiliante: s’è fermato il tempo. Ecco perché Sarri è stato indotto a urlare quelle frasi a Mancini. Credeva che il campo fosse rimasto una zona franca dove nulla si riferisce, tutto si dimentica. Questo abbiamo scritto sul Corriere, giorni fa, parlando del Napoli. Aggiungendo che la squadra migliore del campionato e la tifoseria più appassionata non hanno bisogno di subissare di fischi gli avversari appena toccano palla. Sono arrivate centinaia di commenti: metà giustificano questa pratica, metà ricordano gli insulti che il Napoli riceve sugli altri campi. Ebbene: degli insulti abbiamo detto all’inizio (vergognosi). Ma i fischi sistematici — di cui il San Paolo ha il primato, certo non l’esclusiva — non ci piacciono. Sostenere la propria squadra non significa disprezzare o umiliare gli ospiti. Uno stadio che fischia ogni possesso di palla avversario dimostra insicurezza, non forza. Proviamo a tifare col cuore e a ragionare con la testa, per una volta: si può fare”.
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