Ryan Lochte, 32 anni, è tornato negli Usa prima del provvedimento del giudice brasiliano
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unti Chiave Articolo
A Rio scoppia il caso Lochte. La storia della rapina ai nuotatori americani è totalmente inventata. Un video smentisce la versione del campione e mostra una rissa al distributore con gli uomini della sicurezza. Altro che pistola puntata alla testa: gli atleti nascondevano una notte brava.
Lochte e la rapina inventata. Il Brasile mette in scacco gli Usa GIANNI RIOTTA
Compagni di bevute
La stazione di servizio, neon gialli e pubblicità birra Skol, è già meta di pellegrinaggi e selfie dopo una storia di menzogne che dice tutta la verità sui Giochi a Rio: troppi sono arrivati colmi di pregiudizi, presunzione, razzismo, che media bulimici hanno diffuso senza scrupoli. Ryan Lochte, nuotatore americano, dodici medaglie in carriera, sei d’oro, finite le gare la notte di domenica scorsa, con i compagni Conger, Bentz e Feigen, festeggia al party di Club France, si beve e si balla. Lochte, che sfoggia capelli ossigenati, non è nuovo alle bravate, in Italia ha devastato la camera d’albergo, riuscendo a metter tutto in sordina. L’aria di Rio risveglia nell’ex atleta dell’Università della Florida istinti da Animal House, studenti gonfi di birra immortalati dal grande Belushi.
Ubriaco fradicio, Lochte arriva alla Barra da Tijuca, un’alba tragica: «Ci fermano a un posto di blocco della polizia, ordinandoci di scendere. I miei compagni obbediscono, io no. Perché? Non ho fatto nulla di male». Un vero duro Ryan, un metro e 88 per 88 chili di muscoli, patriota di Rochester, New York, difende i diritti civili nel Brasile dei gangster. Il poliziotto-bandito incalza, «Mi punta un revolver alla fronte, solleva il cane, “Scendi”, “Come vuoi tu” rispondo». Gli atleti vengono derubati di 400 dollari, la gang scompare. Il giorno dopo mamma Lochte spiffera la vicenda, il Comitato Olimpico smentisce, poi fa marcia indietro. La stampa Usa investe Rio, Jeff Ostrow, avvocato di Lochte, tuona: «Rio? Un disastro, banditi ovunque, i ragazzi sono a rischio». Sally Jenkins, dall’autorevole Washington Post, rilancia: «La dissenteria infetta un velista… gli esperti temono epidemie… la pipì di Ryan Lochte è tenuta dall’antidoping di Rio più al sicuro di lui». Il giallo, però, non persuade tutti. Mauricio Savarese, reporter dell’Ap, ha già confutato le leggende urbane del viceconsole russo ucciso a pistolettate e dei cestisti cinesi presi a mitragliate, due invenzioni pure popolari anche in Italia.
Dov’è finito il taxista? Perché Lochte non ricorda ora e luogo della rapina? La polizia indaga, furiosa e perplessa, un puzzle che raccolgo via twitter @riotta: «I banditi non alzano il cane di un revolver da Far West, hanno pistole, non esitano ad usarle. Sola certezza quelli erano bevuti marci». La giudice Keyla Blanc de Cnop studia i filmati dei nuotatori che ritornano al Villaggio Olimpico, molto più tardi dell’ora dichiarata, rilassati. Lochte, reduce da un revolver alla fronte, giochicchia con le credenziali, solleticando un compagno, teen ager a 32 anni.
Una sfilza di bugie
Un duro? No, un bugiardo. La giudice, incredula, ordina di far scendere dall’aereo diretto negli Usa Conger e Bentz e sequestra il passaporto anche a Fenger. La rete tv Globo lancia il video della notte alla stazione di servizio, niente pistola, niente banditi. Lochte e compagni – confermano i testimoni – sfondano a calci la porta di un bagno, urinano in pubblico, sbraitano, barcollando per l’alcol. Quando gli addetti si accorgono del vandalismo, Lochte è colto dalle immagini mentre si allontana verso un taxi, mani dietro la schiena come uno scolaretto. Un custode lo affronta arrabbiato, il campione si adombra e reagisce, una guardia privata, temendo la rissa, estrae una pistola e ristabilisce la calma. Come nelle peggiori pagine del vecchio romanzo «The Ugly American», i quattro «Brutti Americani» cacciano 20 dollari e 100 reales (28 euro) per i danni.
La fuga negli Usa
Furbastro, Lochte se la svigna in America a nascondersi, lasciando i compagni nelle peste a Rio: in poche ore confessano, accusando – nessuno sa ancora il motivo – il platinato Lochte dell’assurda saga. Rischiano l’incriminazione per falsa denuncia e procurato allarme. L’ambasciata Usa è bombardata da mail indignate, lo studioso del Wilson Center Paulo Sotero, conclude: «Ogni pregiudizio esce rafforzato. Usa? Arroganti. Brasile? Violento». Rio, come tante metropoli, è violenta (un atleta inglese è stato davvero derubato), ma non merita calunnie. «Lochte non deve tornare», ammonisce Anderson Valentim della Polizia Militare, «quelli come lui non son benvenuti». Medaglie o no, il nuotatore farebbe bene, a seguire questo, incavolatissimo, consiglio.
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