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Disabili e sesso, basta tabù (VIDEO)

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In Italia il diritto al sesso per le persone disabili resta un tema poco dibattuto e del tutto privo di normative. Diversamente dal resto d’Europa nel nostro Paese mancano figure professionali e denaro. La federazione paraplegici insiste sull’importanza di queste pratiche e chiede più attenzione da parte delle istituzioni pubbliche perché «le relazioni affettive sono decisive».

“Basta tabù, anche noi disabili ab biamo diritto al sesso”

Diversamente dal resto d’Europa in Italia mancano figure professionali e denaro. La  federazione paraplegici: «Le relazioni affettive sono decisive»

TORINO – Il disabile come e più degli altri ha bisogno di amare e di essere amato, di tenerezza, di vicinanza e di intimità. Particolare attenzione va riservata alla cura delle dimensioni affettive e sessuali». A pronunciare queste parole fu Giovanni Paolo II, tredici anni fa, in un messaggio a un simposio sui disabili mentali. Ancora prima, alla fine degli Anni Ottanta, grazie a un pionieristico e mai replicato sondaggio tra le persone con lesioni spinali in Piemonte, venne fuori che il desiderio più grande di riconquista non era recuperare le disfunzioni motorie, ma quelle cosiddette autonome: urinarie, intestinali e genito-sessuali. La buona notizia è che la qualità di vita di chi ha una lesione spinale da allora è infinitamente migliorata grazie ai progressi della medicina e della tecnologia. Quella cattiva è che il sesso è rimasto un tabù.

Nei paesi europei più attenti ai diritti civili è il servizio sanitario a occuparsi e preoccuparsi di educare e sostenere, anche finanziariamente, la sessualità delle persone disabili. Così se, come Danilo, non hai ancora compiuto vent’anni e un momento prima sei in macchina e quello dopo in un letto d’ospedale paralizzato dal petto in giù, trovare qualcuno capace di spiegarti se riuscirai ancora ad avere rapporti fisici con una ragazza è un affare complicato. «Ho dovuto imparare di nuovo a mangiare, lavarmi, andare in bagno – racconta Danilo Ragona, 36 anni, imprenditore e designer torinese -. Bisogna imparare a vivere con un corpo nuovo. Così la mia prima domanda all’urologo è stata: “Dottò, ma lì sotto come si fa?”».

Dopo una lesione spinale peli e unghie continuano a crescere, le ferite si rimarginano: il corpo è vivo. Lo spiega Roberto Carone, neuro-urologo dell’Unità spinale di Torino, nata con quella di Firenze alla fine degli Anni Ottanta, le prime in Italia. «Nella stragrande maggioranza dei casi dopo una lesione è possibile recuperare sia eiaculazione che erezione. Con un approccio che non si occupa solo del corpo, ma anche della psiche del paziente. Con una lesione spinale alta, c’è una eiaculazione riflessa che risponde alla stimolazione. In quelle più basse invece c’è più probabilità di avere anche erezioni psicogene – spiega –. In entrambi i casi possono aiutare la terapia farmacologica, che in Piemonte viene rimborsata, e la vacuum terapia. Per l’eiaculazione c’è un macchinario che in pratica è un vibro massaggiatore. Se non funziona, si passa all’elettrostimolazione. Sempre sotto controllo medico».

«Il dottore mi ha accompagnato in una stanzetta – continua Danilo -. E grazie a un macchinario ingombrante che poi è un vibratore per uomo ho scoperto che le mie sensazioni erano diverse, ma era tutto in ordine. Tra tornare nella stanzetta e lasciar perdere, decisi di comperare per conto mio il vibratore. Lo pagai più di un milione di lire, ora costa circa 800 euro. Nessun rimborso del servizio sanitario, ovvio».

Negli Stati Uniti i sex toys dedicati alle persone disabili non sono una novità, ma un ausilio come un altro. Si comprano anche online, con lo slogan: «Fai di più per la tua vita sessuale che una cena da 50 dollari». «Nelle unità spinali ci sono infermieri specializzati nell’assistenza urinaria e intestinale, ma mancano del tutto figure dedicate al genito-sessuale. Ed è una grossa mancanza. Il paziente nel suo percorso di recupero incontra degli specialisti, ma sviluppa un contatto giornaliero e confidenziale con gli infermieri. E’ facile che si rivolga prima di tutto a loro – spiega Carone –, con il rischio che gli vengano date informazioni sommarie o sbagliate. Per risolvere il problema c’è una sola soluzione: garantire una formazione adeguata e sistematica del personale sanitario». Dopo aver avviato un’azienda che produce sedie a rotelle di design – niente manopole, schienale basso, ruote perfette per correre in spiaggia – Danilo ha prestato la sua creatività a un altro progetto: la «Intimate Rider». Una seduta basculante, che aiuta le persone con disabilità e i loro partner a stare comodi e a divertirsi di più. «Riacquistare il controllo di sé, significa per esempio garantire al partner una vita sessuale soddisfacente, avere dei figli in modo naturale – conclude Danilo –. Non c’è niente di sporco. Lo dico da imprenditore: siamo così indietro che a nessuno è venuto in mente che questo è anche un ottimo business inesplorato».

Le unità spinali, punto di riferimento indispensabile, nel Sud Italia sono troppo poche. In Campania e Calabria non esistono. E questo costringe i pazienti a costosissimi pellegrinaggi. E non c’è neanche un registro nazionale delle lesioni spinali, e con la vita che si allunga è difficile capire quanti posti servono nei reparti, che sono sempre più affollati. «Se avessimo dati reali e non simbolici, l’offerta sanitaria potrebbe essere programmata con efficacia – dice Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana Paraplegici -. Così fa la differenza la provenienza dei pazienti. Per esempio, ci sono regioni più attente a stringere accordi con le aziende che producono ausili alla disabilità all’avanguardia, altre che invece sono ancora molto indietro. La sfida poi è l’inclusione sociale, che passa per scuola, lavoro e vita sociale. Relazionale e affettiva. C’è ancora molto da fare».

Danilo a vent’anni si preoccupava di poter amare ancora, ora sogna una famiglia con la sua fidanzata. E’ un uomo fortunato, e lo sa. Quando venne ricoverato dopo l’incidente, nel letto accanto a lui c’era un suo omonimo. Danilo Neri un bel giorno d’estate sbagliò un tuffo, ora non si muove più. Aveva diciassette anni, ora ne ha trentacinque. «Appena fuori dall’ospedale, gli amici mi hanno chiesto se avrei potuto ancora fare sesso – racconta -. Quando rispondevo di sì, dovevo essere pronto a tenere una lezione di educazione sessuale. Basta la stimolazione per rendere il mio pene attivo. La cosa triste è che un disabile, soprattutto uno come me, viene visto come un asessuato. Ho ricevuto dei no anche da diverse accompagnatrici, all’inizio ci rimanevo malissimo. Poi ho smesso di chiedere». Danilo ha perso il tatto, e va bene. Ma gli restano un corpo vivo, vista, udito e olfatto. E una buona dose di romanticismo: «Aggiungo che si può godere anche guardando una persona intensamente negli occhi. Sono le sensazioni che sprigiona la mente che fanno la differenza, in tutto e per tutti». Se Danilo vivesse in Olanda, in Germania, in Gran Bretagna oppure anche in Francia, forse non gli sarebbe tanto più semplice trovare l’amore, ma di certo potrebbe sentirsi meno solo. Nei paesi europei dove la prostituzione è legalizzata, le persone con disabilità fisica e anche psichica si possono rivolgere a un sex worker specializzato. Come spiega il disegno di legge italiano proposto dall’associazione «Love Giver», si tratta di «un operatore che dopo un percorso di formazione psicologico, sessuologico e medico, dovrà aiutare le persone a vivere un’esperienza erotica, sensuale o sessuale». Una guida «all’emotività, all’affettività, alla corporeità e alla sessualità».

Max Ulivieri, 46 anni, web designer bolognese, da quattro anni gira l’Italia per parlare di sessualità e disabilità. «Con la legge, firmata anche dalla Cirinnà, siamo a un punto morto. Non è stata nemmeno calendarizzata. In alcune regioni l’idea c’è, ma nessuno dei corsi di formazione annunciati è mai partito – spiega -. In Italia è complicato anche solo parlarne. Io però ormai ho una certa età. E sono stufo. In Francia è successa una bella cosa: in attesa della legge che non arriva, un’associazione come la nostra ha iniziato a organizzare dei corsi. Se nulla si muove, farò la stessa cosa. Mi metteranno in prigione per sfruttamento della prostituzione? Pazienza». Ulivieri nei suoi interventi racconta la sofferenza che si prova a dover rinunciare alla propria intimità. La stessa che ha provato lui da ragazzo, e quella che vive ogni giorno chi si rivolge alla sua associazione: racconta di genitori che non sanno a chi chiedere aiuto, e si trovano a soddisfare le esigenze sessuali dei figli. Maschi, e anche femmine.

«E’ molto importante iniziare a parlare di sessualità da subito: le famiglie spesso arrivano da noi quando ci sono comportamenti sessuali non adatti, già cronicizzati», spiega Stefania Mina, responsabile del progetto «Sessualità possibile», con gli ospiti della Domus Laetitiae di Biella. Assistenza sessuale sì oppure no? «Il nostro lavoro è accompagnarli in un percorso di consapevolezza, che porta magari a creare la situazione adeguata che porta all’autoerotismo, senza però superare il confine». «E’ un tema delicato, normale che le posizioni siano molto diverse – commenta Mauro Petrillo, dirigente urologo dell’Unità spinale di Torino -. Da una parte può rispondere bene a certe esigenze. Dall’altra bisogna essere sicuri di individuare la professionalità adatta: stiamo parlando di riabilitatrici o di prostitute?». «La sessualità è un diritto di tutti, ma i timori sono ancora molti – conclude Falabella -. Bisogna fare qualche cosa, perché questo tema è noto a chiunque si occupa di disabilità. E bisogna farlo in fretta. Parlandone, finalmente, con serenità».

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