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Brexit. L’Alta Corte di Londra a sorpresa ne blocca l’avvio

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L’Alta Corte di Londra ha accettato il ricorso di legittimità concernente l’iter seguito dalla Brexit, presentato dall’imprenditrice Gina Miller e altri attivisti pro UE, i quali chiedono il rispetto delle norme sulla  procedura, prima che si invochi l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che dovrebbe avvenire entro marzo 2017.

Potrebbe accadere l’imprevedibile, a questo punto, anche se il governo di Theresa May  ha minacciato tuoni e fulmini sul verdetto della Corte, e il suo governo non accetterebbe mai una sfida di questa portata, dopo una campagna referendaria durissima, talmente tesa da causare una vittima (Jo Cox). La premier ha già fatto sapere che non finisce qui, e non sarà il parlamento e cambiare le carte in tavola, pertanto il governo si appellerà alla Corte Suprema.

La No 10  – così è anche chiamato il premier britannico, in riferimento al numero 10 di Downing Street – sostiene che il processo del ‘leaving’ continuerà, e si rispetteranno i tempi previsti per invocare l’art. 50: “Brexit ruling will not derail Article 50 Timetable”.

Intanto Nicole Sturgeon, primo ministro della Scozia, non nasconde al riguardo la sua soddisfazione. Com’è noto, circa il 70% degli scozzesi a giugno, ha votato  ‘Remain’, e la Sturgeon si è battuta come una leonessa, anche dopo l’esito del referendum, per tentare un accordo con le istituzioni Ue, nel tentativo di sganciare la Scozia dal treno in cui si era avventurato il Regno Unito. Non riuscendo però nell’intento, dato che sia il Presidente della Commissione europea, Juncker, sia le altre autorità dell’Unione, avevano dichiarato che erano disposti ad un dialogo che escludesse  qualunque intromissione negli affari interni del suo paese, la volontà del popolo doveva essere rispettata. Commentando la situazione che si è venuta a creare con il verdetto dell’Alta Corte, in un articolo del ‘The Guardian’ il primo ministro scozzese dichiara che il governo del Regno Unito ‘è nel caos’.

Beh, non è certo uno scacco al re, la sfida vinta per ora da Gina Miller, ma può essere una buona partita da giocare fino all’ultimo alfiere, comunque senza troppe illusioni.

Di sicuro l’iniziativa di questa temeraria donna d’affari inglese, ha innescato un ordigno che avrà le sue conseguenze. Secondo alcuni parlamentari conservatori, meglio sarebbe se la May indisse nuove elezioni, che sperano ovviamente di vincere, galvanizzati come sono dall’effetto brexit,  ottenendo così una maggioranza in parlamento, si potrebbero ovviare  rimandi sul processo relativo all’art. 50, contemplato dal Trattato di Lisbona. Processo che le autorità dell’Ue si augurano di risolvere in tempi brevi, considerate le elezioni alle porte in alcuni paesi chiave come Germania, Francia, Italia. E tra due anni le elezioni del Parlamento europeo, per questo un ritardo nella procedura, fanno sapere da Bruxelles, non sarebbe gradito.

In Gran Bretagna c’è grande fermento, ma anche disorientamento, che potrebbe creare una tensione sociale maggiore di quella che è emersa durante la campagna sul referendum. Un parlamentare pro brexit, ha dichiarato che, se la Miller pensa di bloccare il legittimo iter della brexit, non ha fatto i conti con la rabbia popolare che scatenerebbe tra i 17 milioni di britannici che hanno votato ‘Leave’. E già questi umori fanno comprendere il ‘climax’ che si vive in queste ore nel regno Unito.

Non tutti condividono l’entusiasmo di chi vede in questo provvedimento espresso da un’Autorità giuridica che garantisce l’applicazione delle norme costituzionali, un’opportunità di speranza per riprendere la strada verso l’UE, o almeno di rendere meno drastici gli effetti di quella catena spezzata. Molti parlamentari, secondo i quotidiani inglesi, tuttavia, vedono in questo risultato, una strada accidentata, ingombra di massi, che complicherà lo stato delle cose, e non porterà ai cambiamenti auspicati.

La May  è sicuramente risoluta e determinata a non lasciarsi strappare la vittoria del referendum sulla brexit, con manovre dell’ultima ora, ha una grande considerazione di sé, e sostiene senza curarsi dei giudizi altrui, ‘di essere la premier migliore per guidare la Gran Bretagna’.

A fil di spada i due schieramenti dei Remain e dei Leave, si contenderanno l’esito finale di questa durissima battaglia, che in ogni caso ora dovrà sottostare al rigore delle norme costituzionali del Regno Unito. Non si potrà prescindere da tale percorso.

Lord Thomas of Cwmgiedd, giudice dell’Alta Corte, ha infatti giustificato l’accoglimento del ricorso sulla legittimità della brexit, facendo riferimento ad uno dei principi fondanti della Carta Costituzionale, ossia la sovranità del Parlamento su discipline così delicate per lo Stato, che implicano conseguenze importanti sia di carattere interno che internazionale.

Tanto per sottolineare le ripercussioni sul piano economico e finanziario, i mercati hanno risposto con una sferzata di ottimismo, e la sterlina è subito andata in rialzo, recuperando l’1% sulla divisa americana, il pound ha raggiunto infatti un valore di 1,24 dollari  Quanto all’euro guadagna l’1,3%.

Qualora vi fossero ancora dubbi sull’ostilità dei mercati nei confronti della brexit, questa è un’ulteriore conferma.

Vediamo cosa afferma l’Art. 50 del Trattato di Lisbona:

Secondo il Trattato sancisce che:

 “Ogni Stato membro può decidere di recedere dall’Unione conformemente alle proprie norme costituzionali”.

Con le norme giuridiche non si può parafrasare a piacimento, pertanto è meglio fare riferimento a ciò che è riportato nel sito ufficiale dell’Eur-lex, dove si trova tutto sulla disciplina giuridica dell’Ue, dalla ‘Gazzetta Ufficiale’ dell’Unione, ai Trattati, Regolamenti, legislazione, Accordi internazionali, ecc.

Clausola di recesso:

“L’articolo 50 del trattato sull’Unione europea prevede un meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un paese dall’Unione europea (UE).

Il paese dell’UE che decide di recedere, deve notificare tale intenzione al Consiglio europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso di tale paese.

Tale accordo è concluso a nome dell’Unione europea (UE) dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.

I trattati cessano di essere applicabili al paese interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o due anni dopo la notifica del recesso. Il Consiglio può decidere di prolungare tale termine.

Qualsiasi Stato uscito dall’Unione può chiedere di aderirvi nuovamente, presentando una nuova procedura di adesione”.

Ora le Istituzioni dell’Unione, dovranno rispettare le decisioni dei massimi organi giuridici del RU, si attente quello della Suprema Corte, alla quale si appellerà la premier May, il cui dossier, secondo una nota dell’Agenzia Reuters, sarà esaminato nella prima settimana di dicembre. La May fa il verso al  ministro delle Finanze tedesco Schauble, che nelle settimane precedenti la consultazione referendaria, diceva in tono di ammonimento: ‘out is out’; ora la May per rassicurare i brexitiers, dichiara sulla stampa, guardate che ‘brexit is brexit’.

Come dire: inutile che vi affanniate, non potrete in alcun modo ostacolare la volontà popolare.

Gina Miller e gli attivisti pro Europa, sono convintissimi di avere agito per il meglio,  per il bene del paese e il rispetto della democrazia:

“The woman who put Theresa May’s plans for leaving the EU in peril is convinced she has done the right thing, despite the vitriol..”

Ora, secondo tanti esponenti politici britannici, il problema non è se verrà invocato l’art. 50, ma il modo in cui si procederà:

“This wasn’t about whether article 50 will be invoked, but how,” – si legge sul Guardian.

Non si possono azzardare ipotesi sul verdetto della Suprema Corte, ma è improbabile che smentisca quella dell’Alta Corte di Londra, poiché, in sostanza, si tratterebbe di ignorare una precisa norma della Costituzione. Intanto il dibattito sulla questione sta infervorando la gente e ristabilendo la linea dura del confronto tra i remain, e i brexitiers, che non vogliono sentire parlare di ‘condizioni’, e nemmeno mettere in discussione l’esito del referendum.

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