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Barcellona chiede di mediare all’Europa

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a sfida della Catalogna il giorno dopo il referendum per l’indipendenza è una mossa politica: i leader indipendentisti ignorano Madrid e si rivolgono a Bruxelles, vogliono trattare direttamente con l’Unione europea. Dai palazzi delle istituzioni comunitarie, però, rispondono che il referendum è illegale e avvertono: «Una Catalogna indipendente finirebbe fuori dall’Unione».

Barcellona prende tempo “Pronti a trattare con l’Europa”

La strategia del leader Puigdemont: rimandata la proclamazione dei risultati Oggi sciopero generale in città. Rajoy incontra i socialisti per uscire dalla crisi

BARCELLONA – Dopo la giornata più intensa della sua storia recente, Barcellona si sveglia confusa. La domanda che circola è la più ovvia: «E adesso?».

Il clima in città resta tesissimo, sugli schermi dei cellulari scorrono le immagini delle cariche della polizia, per strada girano le camionette e nel cielo gli elicotteri non si fermano mai. Ognuno ha un episodio da raccontare sulla domenica «di vergogna e dignità», come titola il giornale indipendentista «Ara». Per il movimento catalano è fondamentale che la mobilitazione sia permanente. Non a caso, oggi, è stato proclamato uno sciopero generale «di tutto il Paese», non una normale astensione, ma una serrata che coinvolgerà negozi, fabbriche, musei e tutti i servizi pubblici comunali e regionali. I sindacati nazionali si sono sfilati, ma ci si aspetta un’altra giornata di piazze piene. La polizia spagnola continua a presidiare il territorio. «Se ne vadano subito» dice il presidente della Generalitat Carles Puigdemont. A questo scopo (tuttavia non raggiunto) vorrebbero contribuire gli alberghi di Calella, cittadina della Costa Brava che ha cacciato i 500 agenti che lì risiedevano.

Chi pensava a un’accelerata del governo catalano viene, però, smentito, almeno per ora. Ieri Puigdemont, dopo aver condannato con toni definitivi le operazioni della polizia, ha messo l’accento sulla volontà di dialogo, se non direttamente con il governo spagnolo (non c’è nessuna linea di comunicazione tra Madrid e Barcellona) almeno con l’aiuto di qualche mediatore magari internazionale: «L’Europa la smetta di guardare dall’altra parte». La «legge di rottura» fissa le date: 48 ore dopo la proclamazione dei risultati il parlamento di Barcellona approva la dichiarazione unilaterale di indipendenza. La data sarebbe domani, Madrid si preparava a reagire, ma gli indipendentisti utilizzano un escamotage per prendere tempo: i risultati non vengono ancora proclamati ufficialmente. Albert Rivera, il leader (catalano) del partito centrista Ciudadanos, crede che sia un trucco: «In 72 ore Puigdemont dichiara la secessione» dice chiedendo al premier Mariano Rajoy di togliere l’autonomia alla regione ribelle, applicando un articolo della costituzione spagnola, mai utilizzato. In effetti, questo rallentamento, racconta un dirigente della coalizione indipendentista, non va letto come uno stop: «Stiamo cercando il momento migliore, il Parlamento si potrebbe riunire nel fine settimana». I mercati intanto, a lungo immuni dalle vicende del referendum, iniziano a temere l’instabilità e a pagare sono soprattutto le banche catalane.

In attesa di capire fino a dove si spingano i catalani, il governo spagnolo cerca sostegno nell’opposizione: Rajoy vede i socialisti e Ciudadanos in vista di tempi ancora peggiori. Ma se i centristi lo appoggiano quasi caricandolo, il Psoe evita toni da santa alleanza: «Puigdemont e Rajoy si vedano subito», dice il segretario Pedro Sanchez. Ma la Catalogna indipendentista non ascolta: «Siamo già un altro Stato» si canta in piazza.

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