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Vivendi sferra l’attacco a Mediaset e a Palazzo Chigi c’è chi vede un’Italia sotto attacco

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Vivendi sferra l’attacco a Mediaset e sale al 12,32%. Fininvest sale al 39% e denuncia i francesi per manipolazione di mercato. In Borsa il titolo del Biscione guadagna il 31,86%. E negli ambienti vicini a Palazzo Chigi c’è chi vede un’Italia sotto attacco da parte dei capitali stranieri.

L’Italia finisce sotto attacco nella palude della politica. E il governo cerca un riparo

Dopo il referendum offensiva su banche, televisioni e tlc

S

ui taccuini di chi segue da dentro le cose del governo due eventi sottolineati in rosso fanno riaffiorare vecchi timori: i francesi hanno conquistato il risparmio gestito di Unicredit e dichiarato guerra a Mediaset. Nei quartieri del premier Gentiloni c’è già chi vede un’Italia assediata dai cugini d’Oltralpe.

Tutto è successo in appena otto giorni. Ha vinto il No, è saltato Renzi, è cambiato (di poco) il governo, è ripartito il girone all’italiana del confronto politico che, con la sua virulenza, ha ripreso a gonfiare l’incertezza diffusa che da tempo accompagna i discorsi sulla tenuta reale del Paese. In realtà non c’è molto di nuovo nell’agenda della scorsa settimana, se non le vicende della Finanza e l’ampliarsi dell’instabilità percepita in cui si annidano parecchie insidie potenziali per il sistema tricolore degli Affari. Come anche il caso Montepaschi illustra in modo esemplare.

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Il sipario s’è levato il 5 dicembre. Chiusa la conta dei voti, con una mossa a orologeria che a Roma non è ritenuta casuale, Unicredit ha tributato alla parigina Amundi, corazzata degli investimenti con cui nel 2010 Crédit Agricole e Société Générale hanno dato vita al più importante gestore di asset europeo (mille miliardi), l’esclusiva per negoziare l’acquisto di Pioneer, un quinto la sua taglia. L’intesa è arrivata lunedì e festeggiata dalla Borse, felici per come Jean Pierre Mustier pensa di curare Unicredit, ma titillati anche dai rumour secondo cui proprio la Société Générale penserebbe a far sua la banca di piazza Aulenti. Ipotesi suggestiva e senza conferme. Anzi: Mustier giura che, una volta finita la manutenzione, l’istituto continuerà a ballare da solo.

Fonti istituzionali concedono che il governo Renzi ha tentato di farsi regista di una soluzione italiana per Pioneer, sfidando le possibili ire europee. Raccontano di un incontro del premier col ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e con l’ad di Poste, Francesco Caio, per delineare un piano d’intesa con la Cassa Depositi. L’obiettivo: mantenere da questa parte delle Alpi il risparmio gestito nazionale. L’offerta è arrivata ma, proprio il 5 dicembre, il corriere pubblico si è chiamato fuori, ufficialmente perché il gioco s’era fatta troppo costoso. Nei palazzi del governo è stata letta altrimenti: «Le cifre non erano poi così distanti». E’ parsa una partitura orchestrata per favorire i francesi. Vero o falso?

Certo che a spiegare il successo di Amundi non basta la dimensione. Rende il mercato italiano più esposto alla conquista il combinato disposto fra l’assenza di operatori coraggiosi coerentemente dimensionati e l’insufficienza di gioco di squadra nazionale. «Più che un assedio potrebbe essere la logica conseguenza dell’incapacità di buona parte del sistema» confessa un pezzo grosso della finanza milanese. Troppa politica e poche aggregazioni, insomma. «E quelli che ora parlano di attacco francese dove erano negli ultimi dieci anni?», si chiede. «La realtà di base – precisa una voce governativa – è che da noi ci sono molte realtà industriali interessanti e i francesi hanno i mezzi, e le strategie, per venirsele a prendere». Attacco? «Certo le loro acquisizioni sono sempre rumorose».

Sistema fragile. Con una debolezza storica – fatte le dovute eccezioni – che, nel settore industriale e finanziario, trova la sua amplificazione nel caos della politica. Ecco il dossier Montepaschi. Anche qui le tracce di un lavoro governativo dietro le quinte per tirare nella partita il Qatar sono numerose, come i contatti fra Palazzo Chigi e l’emiro al-Thani. C’era l’accordo, un miliardo subito per Siena e altre opzioni sul tavolo. «S’è parlato anche di Generali», ammette la fonte. Poi c’è stato il «No» e il principe non s’è fidato. Tutto sospeso. Per il cambiamento del quadro politico istituzionale post 4 dicembre. Adesso pagherà lo Stato. Cioè i suoi cittadini.

Della confusione ha approfittato anche Vincent Bolloré. Di nuovo lui, il magnate bretone stregato dalla «seconda patria». Attraverso la Vivendi s’è già messo in tasca il 24,9% del capitale Telecom. Lunedì, una settimana dopo il referendum, ha mosso a sorpresa su Mediaset dopo l’estate dei litigi per Premium. Vuole il 20% di Cologno, che gli scatena contro i legali. Potrebbe aver in mente di creare un EuroNetflix unendo le energie di Telecom. Roba grossa. E francese.

Nei quartieri governativi tre segnali fanno una notizia. Intorno, è facile cucire i sospetti più diversi. Guardate Mustier, simpatico ed efficiente manager francese insediatosi a luglio al 28 o piano di Unicredit. «Un paracadutista della Francia», sussurra una fonte politica. Un figlio delle Grandes écoles napoleoniche cresciute alla Société Générale, colosso che ritroviamo fra gli azionisti di Generali, dove il manager è pure transalpino, Philippe Donnet, uno che ha un curriculum strutturalmente simile a Mustier, costruito stavolta in Axa, la compagnia d’assicurazione più grande. Mettici che il primo azionista di Generali è Mediobanca, che Bolloré è il secondo a Piazzetta Cuccia e che Socgen ha il 5 per cento di Trieste, il gioco dei sospetti diventa facile. I francesi possono trangugiare pezzi del Leone, a partire da quelli presenti nel loro Paese? E un giorno mettere le mani sui grattacieli di Porta Garibaldi?

Risiko, indiscrezioni. Fantasie fra le più tipiche del pianeta Finanza, eppure più fonti giurano che nell’agenda della squadra di Gentiloni il dubbio che i francesi siano alle porte preoccupa. Per la fragilità strutturale e le disattenzioni di sistema. Nel 2016, riassume Kpmg, le acquisizioni dell’Esagono sono state 44. In dieci anni sono passate di mano 200 aziende italiane dal valore di 48 miliardi, gruppo che racchiude Bnl (a Bnp Paribas), Bulgari (Lvmh), Edison (Edf) e Parmalat (Lactalis). Gioielli italiani, e altri sarebbero nel mirino. «STMicroelectronics, ad esempio», lascia cadere la fonte. Possibile? «Loro fanno sistema», spiega una fonte istituzionale, certa che – vinca il centrodestra di Fillon o il socialista Valls -, la situazione non potrà che farsi più aggressiva dopo le presidenziali di primavera, dunque più tesa per noi. Politica, finanza, grande industria perseguono i propri interessi e giocano per la Francia. Noi siamo vittime di una triste «mediocrazia», per usare un termine coniato anni fa dal vecchio patron delle Generali, Antoine Berhneim. Oggi come allora, viene da dire.

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