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Renzi promette stabilità

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Il premier sceglie la strategia della stabilità per rassicurare Mattarella e Draghi. Oggi a Ventotene il vertice con Merkel e Hollande per «rilanciare l’Europa». «Si vota nel 2018 comunque vada il referendum», dice Matteo Renzi.

La strategia della stabilità per rassicurare Colle e Bce UGO MAGRI

La personalizzazione non paga, meglio puntare sull’affidabilità. Ma il premier assicura ai suoi: abbiamo ancora la maggioranza

ROMA – Accusato spesso di drammatizzare il referendum sulla Costituzione, stavolta Renzi spiazza i suoi critici e sparge serenità. Assicura che in Italia si voterà nel 2018, alla naturale scadenza, «comunque vada» il voto d’autunno. Così ha dichiarato alla Versiliana. Niente elezioni anticipate: arriveremo in fondo alla legislatura tanto che vinca il «sì» alle riforme, quanto che invece trionfi il «no». Chiaramente il premier si augura la prima delle due. Magari in cuor suo è sicuro di farcela, nonostante i sondaggi non proprio esaltanti conferma ai suoi «abbiamo ancora la maggioranza». Ma il tono risoluto con cui si sente di escludere cataclismi politici, «comunque vada» il referendum sulla costituzione, dunque perfino in caso di sconfitta sulla riforma Boschi, è un dato politico che profuma di novità.

NESSUN DIETROFRONT

Dobbiamo interpretarlo come una retromarcia del premier? Significa cioè che non si dimetterebbe neppure nel caso di vittoria dei suoi avversari e resterebbe a Palazzo Chigi come se nulla fosse? Questo Renzi non lo ha detto, ma soprattutto non lo pensa. Certo che si dimetterebbe, come assicura ai suoi. Però ripeterlo in tono di sfida, o di minaccia, non gli fa gioco. Se avesse assecondato l’aspetto più guascone del suo carattere, sarebbe ricaduto nello stesso errore che gli è stato rimproverato in questi mesi: quello di «personalizzare» l’appuntamento referendario, trasformandolo in un giudizio su se stesso anziché su quanto di buono la riforma Boschi contiene. Spostare l’attenzione degli elettori dalla riforma costituzionale a se stesso aveva rappresentato nei mesi scorsi un eccesso di confidenza (o un’imprudenza, che fa lo stesso) di cui lo stesso Renzi, probabilmente, si è pentito. Logico che alla Versiliana abbia tirato il freno un attimo prima di perseverare nello sbaglio. E abbia inteso disinnescare sul nascere la polemica che ne sarebbe seguita. Insomma, stavolta è stato abile e avveduto. Ma c’è dell’altro. Confermare che la legislatura taglierà il traguardo del 2018 significa riconoscere la presenza di altri due autorevoli attori con i quali confrontarsi, e magari venire a patti se si renderà necessario.

ROMA E FRANCOFORTE

Uno sta a Francoforte e si chiama Mario Draghi: qualunque decisione dovesse prendere il premier, perfino nel caso di sconfitta referendaria, dovrebbe valutare i contraccolpi finanziari per l’Italia e per l’Europa intera. L’ultima cosa che possono augurarsi nel grattacielo della Bce è che la terza economia dell’euro precipiti disordinatamente nel caos, senza un percorso ragionevole verso le urne. Tra l’altro, non è nemmeno chiaro con quale legge elettorale andremmo a votare, visto che il 4 ottobre prossimo la Consulta inizierà l’esame dei ricorsi contro l’«Italicum», e in camera di consiglio tutto potrà accadere. Il secondo attore, cui Renzi rende implicitamente omaggio con la sua svolta agostana, abitasul Colle. Non è mistero che il Presidente consideri la stabilità politica alla stregua di un bene prezioso, una dimostrazione di serietà e affidabilità da dare ai nostri partner non solo europei. Sergio Mattarella aspetta il verdetto del popolo italiano, senza interferire in un senso o nell’altro, comportandosi da vero arbitro. Ma da giorni chiede a tutti, anche con una certa insistenza, di tenere comportamenti responsabili. Sollecita prudenza. Sobrietà pure nel linguaggio. Sarebbe singolare se il primo a contravvenire fosse proprio Renzi, che del Quirinale in futuro potrebbe avere bisogno.

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