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Mogherini, attacco a Bruxelles: “Ora cooperazione tra le intelligence, siamo una cosa sola”

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’intervista. L’Alto rappresentante per la Politica estera Ue, Mogherini: “Non esiste un ‘noi’ e un ‘loro’, i musulmani sono cittadini comunitari a tutti gli effetti”. “I governi discutono dal 2001 di scambio di informazioni: sappiamo cosa dobbiamo fare, adesso va fatto”.

BRUXELLES – Le lacrime di Federica Mogherini si sono asciugate, ma l’indignazione resta. L’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza della Ue che ci riceve all’undicesimo piano di Palazzo Berlaymont ha l’aria più combattiva che mai. “Da una parte, le lacrime hanno rivelato i miei sentimenti umani. Dall’altra mi dispiace che abbiano coperto il contenuto del mio messaggio dalla Giordania, un paese con cui condividiamo le priorità per prevenire la radicalizzazione. Abbiamo bisogno che l’Islam sia parte della nostra battaglia. Abbiamo bisogno che le voci musulmane contro il terrorismo siano udite di più. Al di là delle emozioni, il compito delle istituzioni è di reagire e di lavorare”.

Reagire, ma come?
“Dobbiamo fare quello che deve essere fatto”. Mogherini prende dal tavolo dei fogli e ce li mostra. “Guardate qui. Queste sono le conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 21 settembre 2001, all’indomani dell’attentato delle Torri gemelle. Cito: “è necessario migliorare la cooperazione e lo scambio di informazioni tra i servizi di intelligence dell’Unione. A questo scopo occorre creare squadre di investigazione comuni. Gli Stati membri devono condividere tutte le informazioni utili riguardanti il terrorismo con Europol, sistematicamente e senza indugi”. Senza indugi? Questo risale a 15 anni fa”.
Ma il problema non è proprio che continuiamo a leggere le stesse risoluzioni?
“Il problema è che anche le decisioni prese non hanno seguito. Sappiamo tutti quello che bisogna fare, ma poi bisogna farlo davvero”.
Lei dice che ci vuole più Europa. Ma la reazione sarà probabilmente quella opposta, di erigere nuovi muri. Come pensa di bloccare questa tendenza?
“Ho appena incontrato il primo ministro francese Manuel Valls. Gli ho chiesto: come sono le reazioni a Parigi? Mi ha risposto: è come se questo attacco fosse avvenuto in Francia. Siamo così vicini che siamo ormai una cosa sola. Credo che la gente, i cittadini europei, capiscano benissimo che questo ci riguarda tutti. Che la nostra forza può essere solo l’integrazione, il nostro sistema comune “.
Non concorda con chi dice che l’Europa ha perso la battaglia contro il terrorismo?
“L’idea che l’approccio europeo non funziona e quelli nazionali sì, è una pura illusione. E’ vero il contrario. Perché quella che abbiamo oggi è la via nazionale all’anti-terrorismo, non quella europea. E’ l’approccio nazionale che non ha funzionato perché il mondo è globalizzato, l’Unione è integrata e le connessioni con il resto della regione sono forti. E’ chiaro a tutti che occorrono strumenti europei per far fronte ad una minaccia che è, come minimo, su scala europea”.
Non ha paura che la reazione della gente sarà invece quella di criminalizzare i musulmani? Non teme rappresaglie?
“Nei mesi scorsi sono stata criticata perché ho detto che l’Islam fa parte dell’Europa. Sarebbe ora che capissimo che non si tratta di una presenza esterna. Questi terroristi sono cittadini europei, nati in Europa, cresciuti in Europa. E’ l’alleanza, il dialogo, la cooperazione la coesistenza di religioni diverse che risolverà questi problemi. Se ci raffiguriamo la questione in termini di “noi”, europei e cristiani, e “loro”, arabi, musulmani, terroristi, non vediamo la verità, perché stiamo comunque parlando di europei. E alimentiamo la stessa narrazione di quelli che vogliono dimostrare che vivere insieme, fianco a fianco, è impossibile. Quali sono i valori che i terroristi stanno attaccando e che noi vogliamo preservare? Il valore fondamentale dell’Europa è proprio questo: la possibilità di vivere e di lavorare insieme al di là della nazionalità, della religione e della cultura. E’ un valore che abbiamo elaborato dopo millenni di guerre: l’integrazione delle nostre diversità non solo è possibile, ma è fonte di forza, di pace e di prosperità”.
Nessuno scontro di civiltà, allora?

“Se cadiamo nella trappola della semplificazione, del “loro” contro “noi”, rinneghiamo i nostri valori. Non è la diversità che distruggerà le nostre società, ma la paura della diversità. Questo implica un altro discorso: dobbiamo investire in una cittadinanza che sia inclusiva e partecipativa per tutti. Non ci sono europei più europei di altri: tutti devono sentirsi coinvolti”.

Non vorrà dire che è tutto e solo un problema interno?
“Certo che no. Ovunque le situazioni di vuoto di potere creano spazi in cui i terroristi possono trovare terreno per le loro attività. E questo è un problema non solo per l’Europa ma per tutta la comunità internazionale. Dobbiamo fare in modo che da questa tragedia, che fa seguito ad altre in tutta la regione negli ultimi mesi, venga una forte spinta per la soluzione in Siria e per prevenire una catastrofe in Libia”.
C’è davvero speranza per una soluzione in Siria?
“Ieri ho incontrato molti rifugiati siriani in Giordania e Libano. E da tutti ho ascoltato la stessa domanda: quando arriverà la pace? Quando potremo tornare nelle nostre case? Nessuno ha chiesto come fare a venire in Europa. Credo ci siano tre cose che la comunità internazionale può fare. La prima è consolidare ed espandere la tregua. Il cessate il fuoco tiene. Nessuno ci credeva, ma tiene: è un miracolo frutto di mesi di duro lavoro che siamo riusciti a fare insieme. La seconda è allargare l’area dove possiamo portare aiuti umanitari. E’ un modo per salvare vite umane. Quando piangiamo i morti di Bruxelles, dobbiamo ricordare che la gente muore anche in Siria. Terzo: dobbiamo convincere le parti siriane ad avviare il processo politico e impegnarsi pienamente in quel processo. Oggi pomeriggio (ieri, n.d.r.) a Ginevra incontrerò le delegazioni siriane, i rappresentanti dell’opposizione e del governo, per trasmettere loro questa urgenza. Hanno una responsabilità verso il loro popolo, che vuole la pace e chiede di poter tornare a casa. E hanno una responsabilità anche verso l’Europa e la comunità internazionale. La pace in Siria è adesso finalmente possibile. Dobbiamo tramutarla in realtà”.
© Lena ( Leading European Newspaper Alliance)
Questa intervista è stata condotta dall’alleanza editoriale Lena (Leading European Newspaper Alliance) di cui Repubblica fa parte insieme a Die Welt,El Paìs, Le Figaro, Le Soir, Tages Anzeiger e Tribune de Genève

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