In più occasioni, abbiamo avuto modo di condannare la logica scellerata dell’attuale riforma dell’Istruzione voluta dal governo Renzi, che accelera il processo di aziendalizzazione della scuola; in più occasioni abbiamo denunciato gli altrettanto scellerati tagli al personale e ai finanziamenti attuati da tutti i governi nei decenni precedenti la legge 107; abbiamo denunciato l’iniquo meccanismo di assunzione e mobilità, la discriminante logica della chiamata diretta, la perdita di titolarità di sede con l’assunzione triennale o la scelta del candidato sulla base di un colloquio, insieme ai nuovi poteri attribuiti al dirigente. Ora, come era prevedibile, molti altri nodi vengono al pettine.
Nonostante la tanto proclamata centralità della scuola da parte dell’attuale governo, le condizioni della scuole del Sud d’Italia rimangono molto critiche: le classi in molte scuole sono troppo numerose anche in aperta violazione della legge; gli edifici inadatti e insicuri a causa dei tagli agli Enti locali; molti alunni con disabilità non hanno le necessarie garanzie in termini di assistenza, di sostegno o di continuità didattica; il tempo scuola drasticamente ridotto. Questa sistematica politica di disinvestimento ha peggiorato la qualità della scuola e ha comportato la riduzione dell’organico, rendendo ancora più instabili le condizioni lavorative di molti docenti. Inoltre il sovrapporsi nel corso degli anni di incoerenti meccanismi di reclutamento hanno innescato una profonda conflittualità all’interno del mondo della scuola, una guerra tra docenti che ha come esito un indebolimento generale della categoria.
L’ultima fase di questa sistematica azione di divide et impera si è concretizzata nella mobilità per il prossimo anno scolastico. Le operazioni di trasferimento già compiute e pubblicate contengono numerosissimi errori, ampiamente riconosciuti anche dai funzionari dei singoli provveditorati; il funzionamento stesso del sistema centrale, sovrinteso da un complicato algoritmo, rimane in più punti oscuro, difficilmente comprensibile e sensibilmente fallace essendo state ignorate in numerosi casi le precedenze e preferenze legittimamente previste. Inoltre, la complicata successione di fasi di questo sistema di mobilità penalizza ampi strati di lavoratori con decenni di esperienza alle spalle e che ora si vedono costretti a emigrare.
Il costo sociale di questa ulteriore fase di ristrutturazione della Scuola è altissimo e anche in questo caso è il Sud a pagare il prezzo più alto e i precari storici, ormai neoassunti, sono le vittime di questo sistema.
Lo Stato chiede di scegliere tra il diritto al salario e il diritto alla famiglia. Ma come si può scegliere tra due dei principali diritti su cui si basa la nostra Costituzione? Come sosterrà lo Stato i costi di questa disgregazione in termini di assistenza agli anziani, ai disabili e ai minori? Quale supporto sarà dato a madri e padri single, a famiglie, a nonni rimasti soli a reggere lo smembramento di interi nuclei familiari?
Chiediamo l’immediata stabilizzazione di tutti i precari, il riconoscimento di tutti i posti in organico, il diritto a lavorare nella propria regione, l’ampliamento delle assunzioni e del tempo scuola. I posti ci sono, come c’è la necessità di tenere il più possibile aperte le scuole specie in regioni difficili. Servono docenti e ATA per farlo. Quello che manca e continua a mancare, al di là della propaganda, è l’investimento dello Stato e la volontà politica di riconoscere al Sud la dignità che merita.
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