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Mezzo Pd si smarca da Renzi

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ROMA Il secondo siluro lanciato da Matteo Renzi contro i vertici della Banca d’Italia è arrivato quando ancora — tra Palazzo Chigi e il Quirinale — si valutava l’entità delle macerie causate dalla mozione del Pd che, pur non citando il governatore Ignazio Visco, aveva chiesto al governo di individuare una «figura più idonea a garantire nuova fiducia» nell’istituto di via Nazionale.
Quello del segretario dem è stato un uno-due, micidiale: «Non è eversivo dire che i meccanismi della Vigilanza sul sistema bancario non hanno funzionato… Chi ha sbagliato paghi… Quella mozione del Pd è stata corretta e poi approvata dal governo e non s’è mai visto un atto eversivo approvato dal governo». Dunque, ha ripetuto Renzi, «il problema non è il nome del governatore, dire che il Pd è contro Visco è sbagliato».
Così si è dovuto ricredere chi si aspettava un passo indietro di Renzi. L’argine si era ormai rotto. E con molte ore di ritardo sull’allarme lanciato dal Quirinale, si è fatta avanti la minoranza dem del ministro Andrea Orlando che ha preso coraggio quando anche i padri nobili del partito hanno alzato la voce. «Incomprensibile e ingiustificabile», ha detto Walter Veltroni commentando la mozione: «Da sempre la Banca d’Italia è un patrimonio di indipendenza e di autonomia per l’intero Paese».
Al Senato — dove il premier Paolo Gentiloni è andato per le comunicazioni sul vertice europeo — l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano è stato tranciante: «Fortunatamente non mi devo occupare delle troppe cose che ogni giorno capitano e che sono deplorevoli». Pochi minuti prima l’ex inquilino del Quirinale aveva affrontato Nicola Latorre e un drappello di senatori dem ai quali aveva manifestato tutto il suo disappunto. «Renzi è fuori di sé, bisogna fermarlo», è il pensiero di Ugo Sposetti che scortava Napolitano porgendogli il braccio.
Il presidente del Consiglio Gentiloni, almeno in pubblico, non ha detto una parola sul caso Bankitalia ma ha trovato un quarto d’ora per prendere fiato nello studio del capogruppo dem al Senato, Luigi Zanda. Al termine del colloquio, il premier è filato via sorridente e agli atti rimane una dichiarazione dell’amico di lunga data Zanda: «Quando si tratta di questioni che hanno a che fare con il risparmio dei cittadini e con la stabilità del sistema bancario bisogna sempre usare il massimo della prudenza, e questo significa che di mozioni del genere meno se ne fanno e meglio
è».
E mentre alla Camera il ministro Carlo Calenda se la cavava con un laconico «Non parlo per carità di Patria», il senatore a vita Mario Monti in aula, davanti a Gentiloni, ha puntato il dito contro i deputati che hanno votato la mozione: «Non mi sono tanto sorpreso» per l’iniziativa «del capo del Pd… Sono stato viceversa molto sorpreso dal fatto che 213 deputati si siano sentiti di approvare quella mozione…».
Dai tabulati risulta che circa 60 deputati del Pd non hanno votato la mozione. Tra assenti a tutti gli scrutini e missioni, tra i non allineati spiccano Antezza, Baruffi, Boccuzzi, Causi, Cenni, Coccia, Crimi (astenuto), Cuperlo, Dell’Aringa, Di Gioia, Fabbri, Galli, Gandolfi, Giacobbe, Ginefra, Giorgis, Lattuca, Maestri, Malisani (astenuto), Mazzoli, Meloni, Miotto, Misiani, Nardi, Piccione (astenuto), Quartapelle, Raciti e Taranto. Per dirla con Gianni Cuperlo, non hanno votato perché la mozione è «un grave errore, un autogol».

Mezzo Pd si smarca da Renzi (Dino Martirano) / Corriere della Sera


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