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Le ORE di Renzi: Obama, Referendum, Europa

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Renzi teme molto il No e fa di tutto per ottenere la maggioranza dei Sì, ma recentemente ha detto che se prevalessero i No lui non si dimetterebbe da presidente del Consiglio, così come gli ha suggerito anche Obama. E’ quanto scrive Scalfari a conclusione del suo editoriale che, a seguire, vi proponiamo. Buona lettura.

Renzi a confronto con Obama, l’Europa e il referendum

PER FARE il punto sulla situazione del governo Renzi e dell’Italia dobbiamo parlare dell’incontro con Barack Obama*. L’attuale Presidente degli Stati Uniti è arrivato alla scadenza del suo mandato che terminerà ufficialmente a gennaio del 2017. A differenza di quanto avviene da noi, dove un ex Presidente diventa automaticamente senatore (emerito) a vita, negli Usa non occupa alcuna carica, è un cittadino come tutti gli altri, salvo il prestigio che nel suo caso sarà molto diffuso. Allora perché Renzi ha puntato e punta sull’incontro di Washington e sulle dichiarazione che Obama ha fatto dopo il colloquio politico con il nostro presidente del Consiglio? E che cosa ha detto Obama in quel senso?

Anzittutto ha detto che l’Italia è la nazione che gli Usa considerano la più importante alleata in Europa. Natualmente lo è anche la Germania e lo è stata fino a poco tempo fa la Gran Bretagna la quale però, dopo Brexit, ha profondamente modificato il suo ruolo internazionale. Quanto alla Germania, Angela Merkel per un anno ancora deve tener conto delle difficili elezioni politiche. Fino ad allora la sua politica internazionale passerà in secondo piano.

Natualmente anche Renzi ha i suoi problemi di politica interna con scadenze molto prossime: il referendum del 4 dicembre e la legge elettorale. Per quel che può valere per la pubblica opinione italiana, Obama ha auspicato la vittoria del Sì referendario. Renzi farà valere questa sorta di predicato ed è probabile che un’influenza ci sarà ma non massiccia.

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otrà esortare gli indecisi e confermare la decisione di votare Sì. Dalle prime stime dei sondaggisti il Sì di Obama potrà spostare tra l’1 e il 2 per cento e avvicinarlo notevolmente al No che ancora lo precede ma di poco. Insomma un miglioramento marginale ma può anch’esso essere importante. Va ricordato che Obama ha aggiunto che Renzi dovrà restare al governo anche se vincesse il No. Difficile capire perché l’ha detto, ma questo aspetto è stato ancor più importante per Renzi anche se l’ipotesi non è molto facile a verificarsi. Se dovesse accadere Renzi dovrebbe fare qualche cosa per renderlo possibile, cioè affrontare seriamente il tema della legge elettorale.

Ma ci sono altri due punti nel discorso di Obama che riguardano l’Italia ma soprattutto gli Stati Uniti. Il primo è l’accoglienza ai rifugiati, quando le parole del Presidente americano hanno ancora una volta fatto proprie le parole di papa Francesco: accogliere i rifugiati da qualunque parte del mondo provengano.

Il secondo punto è stato quello della politica dell’Occidente verso l’Africa e i Paesi dai quali cinque milioni di persone fuggono e, in prospettiva, tra vent’anni saranno 50 i milioni di emigranti.

L’Africa è un continente nel quale si nasce molto e si fugge molto. Su questa realtà, attuale e prospettica, l’intero Occidente deve agire, cominciando dalla Libia e da tutto il Maghreb. Gli Usa sono interessati al tema quanto l’Europa e sono pronti ad intervenire con risorse economiche ed anche militari. Ma sul problema africano anche il Califfato musulmano entra in gioco.

La Libia è uno dei fronti principali e Obama ha ricordato che sul teatro libico spetta all’Italia assumere la guida, assumendo il suo ruolo e le sue responsabilità.

Questo è dunque il dono che Renzi ha portato a casa dall’incontro americano, concluso con una cena dove erano state invitate circa trecento persone della società civile americana, italiana, italoamericana. Vedremo nelle prossime settimane l’effetto di questo dono in Italia e in Europa e come sarà ricambiato.

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Il primo riscontro di quel dono Renzi ha voluto verificarlo in Europa e infatti da Washington è volato a Bruxelles dove si è incontrato con tutte le principali Autorità dell’Ue. Soprattutto quelle che si occupano di problemi economici, di muri eretti ai confini intraeuropei e di muri politici contro l’immigrazione e i suoi costi. Per quanto riguarda l’Italia abbiamo anche costi aggiuntivi provenienti dal terremoto e da tutto ciò che ne consegue. L’accoglienza è stata sostanzialmente favorevole, soprattutto sul fronte economico dove una serie di chiarimenti erano stati già dati e lo saranno ancora nei prossimi giorni dal nostro ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, come i nostri lettori possono leggere oggi su queste pagine in un’intervista da lui rilasciataci.

Padoan ha ampiamente esaminato da un lato le regole europee che sono rigorosamente da noi rispettate, dall’altro la necessità che alle regole venga tuttavia affiancata la politica economica che cambierà di giorno in giorno secondo l’orientamento dei risparmiatori, delle imprese, delle banche, delle assicurazioni, del reddito. Insomma della vita. Le regole acquistano un senso se sono affiancate dalla politica economica, dalle riforme sociali, dalla gestione del deficit e del debito pubblico, dagli obiettivi dell’austerità o della crescita, dall’inflazione o dalla deflazione. Mario Draghi è al vertice di questi problemi non solo per la sua capacità tecnica, ma soprattutto per la sua consapevolezza politica. E infatti effettua interventi che realizzano una vera e propria politica economica, effettua interventi sul mercato e contemporaneamente suggerisce ai governi le riforme e le misure necessarie che quando può attua lui stesso, a cominciare dalla proposta di un ministro del Tesoro unico per tutta l’Eurozona, da lui avanzata più volte e fatta propria anche da Renzi. L’idea è stata finalmente accettata a Bruxelles, ma ora deve avere l’approvazione delle 19 nazioni aderenti alla moneta comune, il sì del Parlamento europeo e la ratifica dei 19 membri dell’Eurozona. Purtroppo passerà del tempo perché c’è di mezzo la burocrazia la quale non è certo un esempio di velocità.

L’economia è fondamentale anche per Renzi. Su questo torneremo, ma non sempre i suoi interventi sono stati felici e non sempre è stato d’accordo Padoan: sulle materie economiche che non lo riguardano si è dichiarato neutrale, proprio per marcare il proprio dissenso.

L’errore più frequente di Renzi è stato quello di effettuare interventi che avessero come primo effetto quello di produrre maggior consenso politico ed elettorale. E quindi il “Jobs Act”, i condoni fiscali, le riforme sulle pensioni, il sostegno ai giovani precari piuttosto che la creazione di nuovi posti di lavoro capaci di rilanciare la nostra economia.

Recentemente però Renzi si è reso conto che la ricerca del consenso deve avere come solida base non alcune regole pro tempore ma una politica antirecessiva e quindi le ha in qualche modo modificate. Siamo ancora lontani dal 10 e lode, ma una sufficienza l’ha meritata. Speriamo che in un prossimo futuro dal 6 raggiunga almeno l’8 su dieci: sarebbe un netto miglioramento e gli garantirebbe consensi assai più stabili e diffusi che non con le mance una tantum i cui effetti passano con la velocità del tempo. Ma qui c’è la politica, dentro e fuori dal suo partito.

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Del partito parleremo tra poco, ma prima c’è un altro interlocutore che sta al vertice dello Stato e che Renzi andrà a consultare nei prossimi giorni: il presidente Sergio Mattarella.

Il Capo dello Stato è molto riservato, è nel suo carattere e nella correttezza costituzionale dei suoi comportamenti. Conosce a menadito le sue prerogative, si chiamano così le funzioni che la Costituzione gli assegna e che il Presidente assolve con puntuale osservanza. Naturalmente non lo priva affatto dei suggerimenti, esortazioni e insomma dell’aspetto politico che l’alta carica che ricopre non solo gli riconosce ma in qualche modo lo esorta a compiere, riservatamente ma con la dovuta energia.

Ho avuto il piacere e l’onore di essere invitato al Quirinale per quattro chiacchiere, come si usa dire, di politica con lui, ma è accaduto da qualche tempo e molto prima del viaggio americano di Renzi. Ovviamente nulla saprò su quello che si diranno nei prossimi giorni e sugli eventuali suggerimenti ed esortazioni che il Presidente probabilmente gli darà. Non sono quindi in grado di riferire né comunque lo farei. Ciò che posso arguire sul modo di pensare del Presidente, questo sì, posso farlo.

Il Presidente è favorevole al referendum costituzionale che pone fine al bicameralismo perfetto. La maggior parte, anzi tutti i Paesi europei sono monocamerali. Il Senato esiste ma con poteri d’intervento assai limitati. Nella maggioranza dei casi esprime pareri che la Camera considera col dovuto riguardo poiché i senatori di solito provengono da ambienti culturalmente preparati. Ma nulla più che pareri. Il potere legislativo si muove appunto nei limiti che la Costituzione gli assegna. La linea politica la indica il Parlamento e il “premier” nominato dal Capo dello Stato e dal successivo voto di fiducia del Parlamento, esprime la linea politica di cui la sua nomina è stato il sugello e la esegue con il governo da lui presieduto.

Qualora però il Parlamento provenisse da una legge elettorale sostanzialmente favorevole al governo in carica al momento del voto, allora diventerebbe lo sgabello per un governo e soprattutto per il suo premier con tendenze autoritarie e questa è la ragione che lega il referendum del 4 dicembre alla legge elettorale vigente, anche se ancora mai attuata.

Renzi fino a poco tempo fa ha del tutto ignorato, anzi ha negato che l’Italicum abbia questi difetti. Vuole la lista unica, vuole il premio di maggioranza, vuole il ballottaggio. Vuole anche, anzi mettiamolo al condizionale: vorrebbe la compattezza del suo partito. Ma questa finora non l’ha ottenuta.

Teme molto il No e fa di tutto per ottenere la maggioranza dei Sì, ma recentemente ha detto che se prevalessero i No lui non si dimetterebbe da presidente del Consiglio, così come gli ha suggerito anche Obama.

Tuttavia una novità c’è stata ed è rilevante: ha dichiarato pubblicamente ed anche in Parlamento d’una sua decisione a modificare la legge elettorale, ha invitato le Commissioni parlamentari competenti ad aprire quanto prima la discussione parlamentare in proposito e, in qualità di segretario del Pd, ha nominato un comitato di 5 membri: i due capigruppo di Camera e Senato, il presidente del partito, un rappresentante della maggioranza dem e un rappresentante dei dissidenti o almeno di una buona parte di essi.

Questo comitato chiuderà i suoi lavori la prossima settimana formulando un progetto di riforma che sarà sottoposto alla direzione del partito. Se sarà approvato (ovviamente con il sì di Renzi) verrà presentato in Parlamento con l’impegno del premier a presentare gli interventi necessari per l’attuazione della nuova legge.

Questo è lo stato dei lavori. Questione di giorni, sempreché la riforma della legge elettorale sia sostanziale.

O la va o la spacca. La partita è decisiva per il prosieguo del governo Renzi ed è per questa ragione che, secondo me, anche il Capo dello Stato è favorevole alla suddetta linea. Se invece di risolversi si spacca, allora toccherebbe alle sue prerogative presidenziali entrare in funzione.

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