Matteo Renzi è a Torino: dal Lingotto prova a rilanciare la sua azione politica e la corsa alla segreteria del Pd. Presenta in un’intervista con Federico Geremicca la sua visione e passa all’attacco: “Serve più riformismo per battere i populisti, basta autocritiche, c’è un intreccio di poteri contro di me”.
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atteo Renzi: “Basta autocritiche. Contro di me un intreccio di poteri”
L’ex premier: “Noi del Giglio magico lontani dalla Roma politico-burocratica. Sereno su mio padre. Prodi? Aspettiamo a dire con chi sta”
Dunque: ammesso che sia mai davvero cominciata, la Quaresima di Matteo Renzi finisce oggi tra i mattoni e l’acciaio del Lingotto. Non sapremmo dire se si è proprio e davvero alla vigilia di una resurrezione: ma il leader ferito che al calar del sole avvierà la sua campagna per le primarie, è un uomo stufo di porgere l’altra guancia. «E se qualcuno pensasse che a fronte del momentaneo indebolimento io abbia perso energia e grinta, commetterebbe un gravissimo errore».
Chiamiamolo un bonario avvertimento: e non sarà l’unico durante questa chiacchierata che avrebbe l’obiettivo di anticipare un po’ dei temi in discussione da oggi a Torino. Ogni tanto – e non potrebbe essere diversamente – fa sentire il suo peso l’inchiesta Consip e i guai giudiziari in cui è avviluppato «babbo» Tiziano: «La mia forza e la mia debolezza – dice – sono state lo star fuori da certi ambienti della Roma politico-burocratica: vogliono farmela pagare per i padrini che non ho e non ho mai avuto».
Presidente, anche lei a caccia di complotti e complottardi?
«Per niente. Però mi viene da ridere – e poi da arrabbiarmi – quando mi accusano di aver messo su un sistema di potere. Ridicolo».
Beh, ridicolo… Il Giglio magico lo ha creato lei non lo abbiamo inventato noi.
«Quattro o cinque toscani quarantenni o giù di lì: questo sarebbe il mio sistema di potere? Non male come accusa: soprattutto in un Paese che ha vissuto per vent’anni il clamoroso conflitto d’interessi di Berlusconi e galleggia tutt’oggi su intrecci tra banche ed editoria, credito e politica capaci di fare il bello e il cattivo tempo».
Che altri abbiano fatto peggio di lei, non è una gran difesa.
«Ma guardi che io non devo difendermi da nulla. Vuole che le rifaccia l’elenco dell’altra sera in tv? Eni, Enel, Ferrovie, Poste, Rai, Finmeccanica… Al vertice non c’è nessun fiorentino: e i vertici li ha nominati un governo da me presieduto. Sono sereno: le bugie hanno le gambe corte».
Sereno anche sull’inchiesta e sul ruolo di suo padre?
«Sereno. Sul suo ruolo e su quello del generale Del Sette e del ministro Lotti. Vede, voglio usare una sua espressione: noi del Giglio magico siamo fuori dai consolidati blocchi di potere. Capisco che possa non piacere, ma dovranno farci l’abitudine».
E sereno anche sull’esito delle primarie che l’attendono? Stavolta potrebbe non essere una passeggiata di salute, no?
«Puntiamo a superare il 50 per cento ovviamente. I sondaggi dicono che dovremmo farcela, anche se non sarà facile. In queste primarie vedremo due film: il voto nei circoli, dove mi dicono che Andrea Orlando sia forte, e quello ai gazebo, dove potrebbe andar bene Michele Emiliano. Vedrete che saranno primarie belle e piene di passione, nonostante la quantità di odio che sento in giro: ma il nostro “assalto al cielo” piace ed emoziona tanti».
E se non superasse il 50 per cento?
«Non cambierebbe niente».
In che senso?
«Non è che se io raggiungo il 48% e gli altri competitor si dividono il restante ci saranno terremoti: chi arriva primo fa il segretario. Vede, non vivo queste primarie come una volata con due avversari sleali, che mi vogliono fregare: tipo gomitate in vista del traguardo. Vogliamo tutti bene al Pd, no?».
Dicevano così anche gli scissionisti… Non teme che si presentino ai gazebo per sostenere Orlando?
«Quel che dovevo dire l’ho detto quando hanno deciso di lasciare il Pd. Non ho nulla da aggiungere: possono fare quel che credono. L’importante è che le regole delle nostre primarie siano rispettate. Insomma, io non vedo complotti, non ci credo: né a quelli dei magistrati né a quelli dei miei avversari politici».
Prodi e Letta, che sembrano intenzionati a sostenere la candidatura di Orlando, sono diventati avversari politici?
«Ma nient’affatto. E però mi ascolti: non tiriamo la giacchetta al Professore. Aspettiamo e poi commenteremo».
E visto che non è all’orizzonte nessun «nuovo Renzi», cosa risponde a Chiamparino e Sala che le hanno invece chiesto un cambio di passo?
«Chiamparino ha ragione: noi dobbiamo fare squadra, molto più di prima. Dobbiamo allargare il gruppo dirigente e io credo che il ticket con Martina sia già un segnale in questo senso. Poi dobbiamo definire la nostra posizione rispetto al governo: cioè le priorità che crediamo debbano essere perseguite. E tornare a occuparci del partito, dei circoli, delle feste, della comunicazione, dell’organizzazione. Ma prima di tutto, ovviamente, della missione e del profilo del Pd che vogliamo».
È di questo che parlerà al Lingotto?
«Sì, vorrei partire da quel che succede nel mondo – da Trump, per dire – per arrivare alla Le Pen ed al nostro Paese. L’interrogativo resta lo stesso: il ruolo e la politica di una grande forza di centrosinistra di fronte ai populismi dilaganti. Non esistono risposte semplici: nei tre anni di governo, però, qualcuna abbiamo provato a darla».
Di nuovo il suo governo…
«Sì, perché vorrei fosse chiara una cosa: noi abbiamo peccato di poco riformismo, non di troppo riformismo. Dagli 80 euro in poi, abbiamo fatto tante cose delle quali andare orgogliosi. Poi è arrivata la botta del referendum, della quale mi prendo tutta la responsabilità. Però le dico una cosa: gli effetti negativi del No li misureremo nel corso di anni. Vediamo divisioni, nuovi partitini, ritorni al proporzionale… E potrebbe essere soltanto l’inizio».
Sulla missione del Pd crede che vi siano molte differenze tra lei, Orlando ed Emiliano?
«Il lungo confronto avviato servirà appunto a capire questo. Ma una cosa voglio dirla subito: non sono d’accordo con la separazione dei ruoli tra segretario e premier. Una simile scelta toglierebbe molta forza proprio al premier. Quando ho combattuto in Europa per ottenere maggiori margini di flessibilità per il nostro Paese, ho vinto non perché ero il presidente del Consiglio italiano, o almeno non solo per quello: ce l’abbiamo fatta perché ero il leader del maggior partito nella famiglia socialista, col 40% ottenuto alle europee».
Sa bene che su questo punto il disaccordo è grande.
«Vedremo, ma l’esperienza della Merkel e di Rajoy racconta questo. E non vorrei che questa discussione si fondasse su un presupposto sbagliato: che il mio temporaneo indebolimento mi abbia tolto grinta ed energia. Vede, io posso accettare critiche e obiezioni al lavoro svolto da premier: ma non una destrutturazione di quel che abbiamo fatto ed un tratto di matita su me ed il mio nome. Si poteva fare meglio, certo. Lo penso anch’io, ma ora è il momento di ripartire: e io sono pronto».
Prima deve vincere le primarie: sono le più difficili tra quelle che ha fatto fino ad ora?
«Le primarie più difficili sono sempre quelle che verranno. So di che parlo, avendo una certa esperienza. Mia figlia mi prende in giro e in questi giorni mi chiede: chi sfidiamo stavolta alle primarie? Pistelli, Ventura, Bersani, Cuperlo, ora Orlando ed Emiliano… Le primarie sono tutte difficili: ma evviva il Pd che ha il coraggio di farle, mentre altri decidono tutto con un clic o nel salotto di Arcore».
A renderle più difficili delle altre è forse la condizione di debolezza nella quale lei si trova, tra referendum perso e vicenda Consip, non crede?
«Ho preso una botta, e non sono contento. Ma sono di quelli che preferisce ferirsi mentre combatte, piuttosto che starsene al sicuro lontano dal campo di battaglia. Ora si ricomincia, con umiltà. Ma sa che le dico? Che un uomo si giudica anche dal modo in cui porta le sue cicatrici».
E Matteo Renzi, se non si fosse capito, è convinto di portare le sue con orgoglio e dignità. Vedremo il 30 aprile se gli elettori Pd la pensano davvero come il loro ex segretario.
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