Luigi e Gabriella Deambrosis dopo la sentenza con cui nel 2012 la Corte d’Appello aveva dichiarato adottabile la loro figlia
Luigi e Gabriella Deambrosis, 75 e 63 anni, erano stati giudicati, sempre dalla Suprema Corte presieduta da Corrado Carnevale, incapaci di accudire la bambina nata nel 2010. Verdetto ribaltato
La legge non prevede limiti di età per “chi intende generare un figlio”: per questa ragione la Cassazione ha dato ragione al ricorso straordinario di marito e moglie, Luigi Deambrosis e Gabriella Carsano, 75 e 63 anni, di Mirabello, una frazione di Casale Monferrato, che da anni lottano per riavere la figlia, nata a Torino nel 2010 e dichiarata adottabile dalla stessa Suprema Corte nel 2013, presieduta da Corrado Carnevale, che aveva ritenuto i genitori troppo “anziani e sbadati”, confermando la sentenza della Corte d’Appello dell’anno precedente. Giudizio non condiviso dal nuovo verdetto che li ritiene genitori capaci e ricorda anche la loro assoluzione dall’accusa di abbandono di minore.
I
l caso era esploso quando il Tribunale dei minori aveva deciso di togliere la piccola ai genitori, già tenuti d’occhio dai servizi sociali dopo la segnalazione dell’ospedale in cui era nata la bambina, dopo che, durante un trasloco, era rimasta per diversi minuti in auto da sola, a un mese e mezzo di vita, nel cortile di casa. Alcuni vicini se n’erano accorti e avevano segnalato l’episodio, anche se i genitori si sono sempre difesi spiegando: “Andavamo e venivamo tra l’auto e l’appartamento, la tenevamo costantemente d’occhio: è stata nel seggiolino 7 minuti, il tempo di scaldarle il latte”.
Al di là della singola vicenda, tuttavia, i periti si erano interrogati sull’effettiva “capacità genitoriale” della coppia: una capacità di accudire la piccola, nata dopo un lungo calvario di fecondazioni assistite e ricoveri all’estero, che va oltre ai limiti che potrebbero essere insiti nell’età avanzata dei due coniugi, che “non potrà essere l’unico elemento di giudizio e quindi un pregiudizio, ma unitamente agli altri elementi ha una sua considerevole importanza”. Nei primi tempi, fino alla sentenza d’Appello, i genitori hanno potuto vedere la piccola saltuariamente, in un “luogo neutro”. Ed è proprio questa limitazione dei rapporti che, secondo loro, non permette di creare una buona relazione con i genitori. “Si è detto che tra la figlia e la coppia non c’è empatia – aveva spiegato l’avvocato Deorsola – Eppure si è visto che c’è interazione: ed è già qualcosa di miracoloso se si tiene conto che la piccola è stata tolta a 35 giorni e da allora ha passato con mamma e papà appena 155 ore su quasi 20 mila ore di vita, ovvero lo 0,8 percento. La legge prevede che per togliere un bambino alla famiglia ci siano condizioni insufficienti e non recuperabili. E non è certo questo il caso”.
Parere, questo, che oggi è stato anche quello della Cassazione. Secondo la sentenza 13435 depositata dagli “ermellini’, infatti, le decisioni della magistratura che hanno tolto la figlia alla coppia si erano basate su pochi minuti di abbandono della minore in auto avvenuto il 28 giugno del 2010, vicenda per la quale è stato “definitivamente accertato che, invece, nessuno stato di pericolo fu provocato dall’episodio in questione”. In proposito i supremi giudici, tenendo presente le indicazioni della Corte di giustizia europea che considera l’adozione una “extrema ratio” alla quale ricorrere solo in caso di genitori “indegni”, hanno affermato il principio di diritto per cui “è revocabile per errore di fatto la sentenza di Cassazione che, nel confermare la declaratoria dello stato di adottabilità assunta dal giudici di merito, sia fondata su di una specifica circostanza supposta esistente (nella specie, l’avere i genitori lasciato un neonato da solo in automobile esponendolo a stato di pericolo) la cui verità era invece, limitatamente all’evento, positivamente esclusa”.
Inoltre la Suprema Corte, revocando il via definitivo allo stato di adottabilità, critica le sentenze precedenti perché percorse da un “refrain che fa da sfondo all’intera decisione, ed è quello dell’età dei genitori”. I supremi giudici sottolineano come le decisioni “pro adozione” abbiano considerato che “una gravidanza a 57 anni lei e 69 lui rappresenta una deviazione dalla norma” e che “crea il paradosso del bambino costretto ad occuparsi dei genitori”. Ad avviso del verdetto odierno, invece, è “errato il riferimento a pretesi ‘limiti’ che la legge italiana prevederebbe per chi intende generare un figlio, i quali non esistono”, e inoltre non si forniscono elementi “che possano illuminare circa l’assoluta inidoneità genitoriale, agganciata all’età o ad altro, da cui far derivare la misura estrema, e dai risvolti irreversibili, quali è lo stato di adottabilità”.
La Cassazione rileva, piuttosto, che erano emersi “una serie di riscontri favorevoli circa la situazione complessiva della minore” nella sua vita con mamma e papà, persone brave e stimate e senza “patologie mentali”, prima che i servizi sociali la allontanassero dai suoi genitori. Ed è “lo Stato”, scrive la sentenza, “allorché ha allontanato una neonata dai genitori a pochissime settimane dalla nascita”, ad aver “indotto” nella bimba “il disagio” che ora prova quando madre e padre, poche volte l’anno, hanno il permesso di vederla. Così la Suprema Corte ha “revocato” il ‘suo’ verdetto emesso l’8 novembre 2013 – uno degli ultimi atti firmati da Corrado Carnevale – e ha annullato con rinvio il giudizio di adottabilità emesso dalla Corte di Appello di Torino il 22 ottobre del 2012. La Corte torinese ora deve ricomporre questa famiglia smembrata sulla base di un pregiudizio anagrafico.
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