La Cina piace sempre di più agli studenti italiani che la scelgono come meta per fare un’esperienza universitaria. Nel 2015 i ragazzi partiti per il Paese asiatico hanno superato quelli che sono andati negli Stati Uniti. Secondo gli esperti, la formazione ricevuta in Cina è inferiore a quella made in Usa, ma le chance lavorative risultano maggiori.
Gli studenti italiani trovano l’America in Cina
Pechino supera gli Usa come meta universitaria . Gli esperti: formazione inferiore, ma più chance lavorative
Crescita costante
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a un decennio il numero di studenti internazionali in Cina (la maggioranza arriva dall’Asia, seguono Europa e Africa) cresce al ritmo di un +10%, seppure con un rallentamento negli ultimi due anni. Nel 2015 – calcola il ministero dell’Istruzione cinese – erano 397.635 (e un milione circa i cinesi che hanno fatto il viaggio inverso). Terza destinazione universitaria globale dopo Usa e Regno Unito, la Cina, con l’obiettivo fissato di 500 mila presenze nel 2020, mira a superare Londra, complice anche la Brexit.
«Oggi la Cina non è più un mondo altro – commenta Marina Timoteo, direttore di AlmaLaurea e dell’Istituto Confucio presso l’Università di Bologna – ma un attore sempre più integrato a livello globale nei flussi di mobilità degli studenti stranieri. Una spinta notevole, poi, viene dagli Istituti Confucio». Sono centri di lingua e cultura cinese creati e controllati dalla Repubblica Popolare che diffondono conoscenza sul Paese ed erogano borse di studio: sono 500 nel mondo, 12 in Italia, il primo proprio dieci anni fa, quando la Cina – a livello universitario – ancora non insidiava i «concorrenti». Nel 2005 gli italiani con in tasca una laurea e un’esperienza all’estero erano il 7,9%, tra loro lo 0,9% a Pechino (il 2,3% negli Stati Uniti): nel 2015 il, seppur lieve, sorpasso, con gli Usa al 2,8% e la Cina al 2,9. Gli italiani che decidono di fare un’esperienza in Cina provengono principalmente da lauree triennali (69%) e studi linguistici (71%), e sono donne (71%, dati AlmaLaurea).
Ma perché studiare in Cina? Una scelta pragmatica, concordano gli esperti. «Le università cinesi non possono ancora competere con quelle occidentali, basta pensare che i figli degli accademici cinesi vanno a studiare all’estero – spiegaGiovanni Andornino, docente di Relazioni internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Torino e coordinatore di TOChina, unità di lavoro sulla Cina attiva presso l’ateneo -, ma stanno salendo negli indici internazionali. Si candidano ad essere attori importanti per le prossime generazioni, soprattutto in settori come architettura e tecnologia. Se si guarda al mondo del lavoro, la Cina è fra i Paesi che offrono più opportunità: è un pezzo importante del futuro e i ragazzi vogliono parteciparvi».
Una scelta impegnativa, sottolinea Andornino, «perché non è un Paese semplice,sia dal punto di vista politico, visto che tutto è sottoposto a uno stretto controllo, sia ambientale, per i problemi di inquinamento. Ma in futuro ci sarà più domanda di Italia in Cina, da qui la scelta di questi ragazzi». Che, per lavorare in o con la Cina, devono impararne lingua e cultura. Come ha fatto Kavinda Navaratne, project manager di TOChina che ha alle spalle due esperienze a Pechino e Hangzhou: «Un programma di scambio con casa pagata e contributo spese. E alla fine la laurea nei due Paesi».
Circa 40 mila studenti stranieri in Cina (erano 8500 nel 2006) ricevono borse di studio dal governo (a cui vanno aggiunte quelle delle università o degli Istituti Confucio), che lavora per migliorare servizi e offrire corsi in inglese. Sforzi e investimenti per ritagliarsi un nuovo ruolo da protagonista rispetto all’Occidente.
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