Le sue parole
Le mezze misure non gli appartengono: tutto o niente, bianco o nero, pro o contro. Ad Aurelio De Laurentiis non interessa il consenso altrui e tantomeno risultare simpatico, soprattutto quando stravolge gli antichi equilibri del mondo del calcio, negli ultimi dodici anni il suo palcoscenico preferito. «Ho scoperto un movimento vecchio, di conservatori: poca voglia di crescere e stare al passo con i tempi. All’inizio mi trattavano come un visionario, in particolare quando parlavo dello stadio. Poi mi hanno dato atto di avere ragione». Nel cinema invece ha qualche amico in più, dà del tu a De Niro e Benigni, ma senza mai rinunciare alla sua intransigenza di stampo un po’ svizzero, che racconta d’aver coltivato e rafforzato all’interno del suo matrimonio: la moglie Jaqueline Baudit è ginevrina “doc”. Adl, invece, così lo chiamano, è nato nel 1949 a Roma, dove ha da sempre il fulcro dei suoi affari. Ma non rinnega le sue origini napoletane («Cerco casa: mi piacerebbe trovarne una proprio nel centro storico: oltre al ristorante che ho già rilevato, Palazzo Petrucci») e approfitta di ogni occasione per ricordare, orgogliosamente, l’epopea di nonno Dino e papà Luigi, partiti da Torre Annunziata alla conquista di Hollywood. «Sul set sono nato e cresciuto». La Filmauro è ancora il gioiello di famiglia: fabbrica della trentennale serie dei cinepanettoni. Il Napoli è un amore più giovane e recente, sbocciato nell’estate del 2004 e di anno in anno diventato più forte. «Quando appresi del fallimento del club mi lanciai anima e corpo nella nuova avventura. Pure per spirito di servizio, sicuro: la città intera era stata ferita, mortificata». Un percorso in salita. Il produttore cinematografico era un figlio d’arte, il presidente si è dovuto fare da solo: imparando a frequentare gli stadi («Ci mancavo da tanto. Ho dovuto fare una full immersion, dalla C fino alla Champions: non si smette mai di imparare, nonostante l’orgoglio di essere risaliti tra le prime venti squadre top, nel mondo. Dodici anni fa eravamo intorno al cinquecentesimo posto nel ranking».
Con lei il Napoli è tornato ai vertici del calcio italiano: missione compiuta, De Laurentiis?
«Macché, per me è tutto un work in progress: sempre. Lo sa qual è il mio motto? Chi si ferma è perduto».
Vale solo per il calcio?
«No, è il mio stile di vita. Intorno a me, fin da bambino, ho sentito ripetere la stessa frase: “chi me lo fa fare…”. Qualche volta lo diceva anche mio padre. La realtà di Napoli è difficile e la tentazione di farsi i fatti propri è forte: lo capisco, non dico mica di no…».
Lei però ha fatto un’altra scelta, prendendo il Napoli.
«Una scelta di vita, ero sul punto di trasferire tutti i miei affari negli Stati Uniti, in quella estate del 2004».
Sono passati dodici anni, da allora: Napoli è cambiata in meglio o in peggio, De Laurentiis?
«La città è stata martoriata dalla munnezza, dalla tragedia della Terra dei Fuochi e dai cantieri sorti un po’ dappertutto. Sono stati anni molto difficili, ma questo non ci autorizza a buttare la spugna e tantomeno a piangerci addosso».
Ha qualche proposta per provare a invertire la rotta?
«Penso spesso che ci vorrebbe un Comitato per la città: vi dovrebbero prendere parte il popolo, gli industriali, i politici, gli intellettuali, la Sovrintendenza e anche noi del Napoli. Ognuno per la sua parte».
E poi che succederebbe?
«Penso che per almeno un mese ci si accapiglierebbe. Ma un po’ alla volta, con il buonsenso, il Comitato potrebbe tirare fuori sei o sette priorità di interesse comune: che siano importanti per tutti e facciano il bene della città. Nel nome della programmazione, che a Napoli manca».
Dica, De Laurentiis: a chi affiderebbe l’organizzazione di questo comitato?
«Al sindaco e al presidente della Regione: potrebbero essere loro, senza litigare e con l’aiuto di Palazzo Chigi, a mettere in piedi questo network delle buone intenzioni: io sono prontissimo ad aderire».
Con il sindaco, non le è andata tanto bene…
«Mai avuto problemi, con Luigi de Magistris. Il mio rapporto con lui è sempre stato franco e collaborativo, durante i nostri incontri. I problemi nascono dopo, quando si spegne la luce del sindaco e entrano in gioco altri fattori».
Faccia un esempio.
«Volevo fare a mio spese e in 40 giorni, lavorando anche di notte, gli interventi più urgenti per il San Paolo. La burocrazia ha fermato tutto».
Dicono che c’entri anche il suo carattere: De Laurentiis ha fama di essere un picconatore…
«Non mi piace. Il picconatore ha intenti distruttivi, mentre io cerco di essere sempre costruttivo».
Calcio e cinema: qual è il suo segreto per giocare contemporaneamente su due tavoli?
«Mi sono imposto una regola fin dall’inizio: tenere i due mondi il più possibile separati. Funziona bene».
Con il cinema ha vinto tanti premi, con il Napoli il secondo posto è invece l’obiettivo massimo?
«No, mai accontentarsi: bisogna puntare sempre più in alto, ai traguardi più ambiziosi. Allo stesso tempo, però, guai a dare per scontato o sminuire un secondo posto. Ricordiamoci sempre da dove siamo partiti: in serie C. Il nostro Napoli, a settembre, giocherà la Champions».
Fonte: Marco Azzi – La Repubblica
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