Renzi annuncia: «Se vogliono le primarie, io ci sto»

Renzi prova a rompere l’assedio post-sconfitta aprendo più decisamente alle coalizioni e annuncia: «Se vogliono le...

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Renzi prova a rompere l’assedio post-sconfitta aprendo più decisamente alle coalizioni e annuncia: «Se vogliono le primarie, io ci sto».

Intanto il candidato di centrodestra Nello Musumeci parla già da presidente e annuncia che sarà «libero dai pupari», mentre il rivale M5s spera ancora e Grillo incalza: «In ogni caso noi siamo i vincitori morali».

Renzi prova a rompere l’assedio. “Se vogliono le primarie, ci sto”

Il segretario: “Ma se tentano di sfiduciarmi in Direzione auguri”

ROMA – Il giorno della disfatta siciliana Matteo Renzi lo trascorre nella sua Firenze, senza dire nulla, consolandosi con un sondaggio nazionale di Emg che vedrebbe il Pd al 26,5% malgrado il disastroso 8-12% previsto in Sicilia. Lo spoglio rinviato a oggi consente di mettersi al riparo per ora dagli assalti. Che il leader Pd ha messo in conto, già preparato alla sventagliata di colpi di chi vorrà mettere sul podio un altro candidato premier per il centrosinistra. Saranno in molti a dire che si potrebbe far correre Gentiloni, che serve un federatore con una personalità inclusiva e non divisiva per aumentare le chances di costruire un’alleanza larga: ma il segretario Pd – assicurano i suoi – resisterà all’assedio, ben sapendo che se per caso Bersani dovesse far da sponda ai capicorrente e agli ex big del suo partito, sarà difficile difendere la breccia. Renzi si attende bordate da Franceschini, Orlando, da Prodi e da Veltroni. Tanto per dire del clima, i suoi sono curiosi di vedere se l’ex leader del Lingotto sarà dalla Berlinguer come in programma domani sera, in concomitanza con il duello con Di Maio. Di fronte ad un assedio, mirato non alla sua poltrona di segretario ma a quella di palazzo Chigi, Renzi giocherà due carte, scartando la terza almeno per ora. La prima carta è glissare gli attacchi dicendo che la premiership si deciderà dopo il voto, in base ai numeri di ogni partito; la seconda è dire sì alle primarie di coalizione, ventilate già da Orlando, sapendo che gli altri non le accetteranno; la terza sarebbe accettare di cedere il passo a Gentiloni, cosa che nella sua cerchia ristretta tendono a escludere. 

Certo, per uscire dall’assedio Renzi aprirà ancor più decisamente alle coalizioni, come già fatto in questi giorni, e al gioco di squadra. Magari dando addosso a Mdp se la somma dei voti di Micari e Fava avrebbe portato ad una vittoria. Ma puntando a coinvolgere Pisapia, Bonino e i centristi di Casini e Alfano. Con lo schema secondo cui il cavallo che correrà per Palazzo Chigi si deciderà a urne chiuse in base ai numeri ottenuti da ciascuna lista. Michele Anzaldi, che nasce politicamente con Gentiloni ma è renziano di ferro, dice che l’effetto di queste elezioni siciliane «sarà zero, Matteo è l’unico leader eletto con le primarie. Certo deve coinvolgere tutti in campagna elettorale, a cominciare dal premier, ma loro due sono legati a doppio filo, poliziotto buono e poliziotto cattivo». Si intuisce quale possa essere la cifra della campagna elettorale quando sarà terminata la frizione provocata dalla gestione del governo: la ricerca di un tandem per giocare al meglio le carte, con Renzi seduto sempre sul sellino anteriore. 

Il fronte interno non è un pensiero. «Vogliono provare a sfiduciarmi in Direzione? Auguri», alza le spalle il segretario nei conversari con i suoi. Da giorni la botta in Sicilia, «la sconfitta netta», come la chiama il vicepresidente del pd Matteo Ricci, «è stata metabolizzata», per dirla con l’altra vicepresidente, la prodiana Sandra Zampa: la quale tende a escludere uscite del Professore per dare addosso a Renzi, così come un blitz in Direzione contro il segretario. Il quale dispone di numeri blindati nel partito. «Io sto a quel che ha detto Orlando sul voto in Sicilia che non ha come effetto la richiesta di dimissioni», dice la Zampa, che fa parte della corrente di minoranza del Guardasigilli: suffragando così la previsione del leader Pd sul fatto che nessuno proverà a scalzarlo dal suo posto. Gli chiederanno di aprire alle primarie di coalizione, «se qualcuno vuole farle bene», va dicendo Renzi nella convinzione che non sia un’opzione gradita dagli altri possibili alleati, timorosi forse di una sua nuova affermazione che chiuderebbe i giochi. «Quindi lo schema è lo stesso del centrodestra, ognun per sè e chi ha più voti conquista la premiership», dicono i suoi uomini. Tradotto: quelli di Pisapia potrebbero dire davanti a un clamoroso successo della loro lista e del centrosinistra, che tocca a uno del Pd, magari a Gentiloni o Delrio o Franceschini, ma non a Renzi. Si vedrà a urne chiuse. «Una vittoria netta porterà a palazzo Chigi chi ha più numeri», dice uno dei big del partito, ma «il Pd ha come suo candidato da statuto il segretario». 

E comunque, il primo dato che verrà scandagliato al laser oggi pomeriggio a urne scrutinate è se la somma dei voti di Micari e Fava avrebbe per caso portato alla vittoria. In quel caso, Renzi avrà gioco facile a giocare la campagna elettorale sul «voto utile» da non disperdere con chi vuole far vincere la destra o i grillini. Renzi stamane farà la sua lezione alla Stanford University di Firenze e stasera arriverà a Roma. Per prepararsi al duello di domani sera con Di Maio. Accettato al volo anche per evitare di far parlare troppo i media della Sicilia, ammettono i suoi strateghi. 

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