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Adnkronos) – Quarant’anni di ‘Un Sabato Italiano’ da festeggiare “finalmente in un sabato romano”, con un concerto il 13 aprile nella Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica, e l’appuntamento con le 70 candeline che l’attende il 31 agosto ma che lo trova “decisamente più giovane nello spirito, anche grazie a tre figli tra i 6 e gli 11 anni”.Sergio Caputo si racconta tra pubblico e privato in un’intervista all’Adnkronos, a pochi giorni dal ritorno live nella città in cui è nato e cresciuto, Roma, ma che ha lasciato alla fine degli anni ’90 per vivere prima in California e poi in Francia, dove risiede attualmente con la seconda moglie, Cristina, da cui ha avuto appunto tre bambini. “Non che il sabato italiano e il resto della settimana nel nostro Paese non mi piacessero – scherza – ma ho sempre preferito vivere in posti dove non mi riconoscessero, dove non debba sentirmi sotto i riflettori anche quando non sono sul palco.
E poi in Italia la cultura è dominata dal calcio e della politica e io non seguo il calcio e sono sostanzialmente un anarchico, che però rispetta le regole”, sottolinea sorridendo. Dei vantaggi di una carriera ultraquarantennale dice: “Sicuramente mi emoziono di meno prima di un concerto e riesco a gestire meglio i possibili inconvenienti estemporanei che si presentano durante i live, per esempio”.Ma l’appuntamento romano di sabato “confesso che mi regala un’emozione particolare e mi piace moltissimo che finalmente capiti davvero in un sabato italiano, dopo tanti lunedì, martedì, mercoledì… – ride – mica è facile trovare l’auditorium libero il sabato, in un momento in cui la musica vive solo di live!”, scandisce Caputo, autore di grandissimi successi come ‘Un Sabato Italiano’ (l’album omonimo è stato inserito dal magazine Rolling Stone nella lista dei migliori dischi della storia italiana), ‘Bimba se sapessi’, ‘Italiani mambo’ e ‘Il Garibaldi Innamorato’ negli anni ’80.
Pezzi che si distinsero subito anche per un uso innovativo del linguaggio con cui racconta il quotidiano, l’amore e le nevrosi metropolitane. Indipendente dal 2009, con la sua etichetta Alcatraz Moon, Caputo ammette di aver “pagato uno scotto” per la sua impossibilità “di stare dentro gli schemi, di seguire il ‘format’: lavorare in proprio ha grandi vantaggi sul piano creativo ma chiaramente quando ti presenti da solo la parte promozionale e la rotazione radiofonica dei brani nuovi incontrano più difficoltà”, dice Caputo che, non a caso, il 20 gennaio scorso ha pubblicato un singolo intitolato “Sono uno spirito libero”. “Quello è un po’ il mio manifesto, mi racconta ed è una canzone uscita di getto”, sottolinea. Famoso per il suo stile che mescola il pop allo swing e al jazz con incursioni nella musica latina, Caputo ha collaborato con grandissimi musicisti (Dizzy Gillespie, Tony Scott, Mel Collins dei King Crimson), Tony Bowers dei Simply Red, Enrico Rava, Roberto Gatto, Flavio Boltro, Danilo Rea, per citarne alcuni) ed è anche un apprezzatissimo chitarrista jazz. È un artista che ha fatto della “musica suonata con gli strumenti veri” la sua cifra e non nasconde una certa perplessità sulla dominanza di rap e trap che contraddistingue questi anni: “Credo che anche questa ondata prima o poi finirà, con la differenza che, rispetto ad altre ondate, pochi di questi brani resteranno a lungo.Oggi si fa una musica usa e getta, perché il mercato è dominato da nuovi media, tra piattaforme di streaming e social, ai quali l’industria discografica non ha saputo imporre delle regole a sua tutela.
Quindi alle nuove leve si chiede di produrre un singolo dopo l’altro, a ritmi forsennati, nella consapevolezza che dopo sei mesi e milioni di visualizzazioni non ce n’è più traccia.Ma il rovescio della medaglia è che poi le major comprano i cataloghi dei grandi artisti del passato, perché hanno bisogno per sopravvivere nel tempo della musica che invece è restata e resterà”, dice spiegando di aver anche lui venduto alla Sony la parte del suo repertorio di cui era ancora proprietario. Un discorso che torna anche parlando di Sanremo, dove Caputo manca da oltre 25 anni (dopo tre partecipazioni nel 1987, 1989, 1998). “Io a Sanremo ci tornerei se mi invitassero – afferma – a patto che non mi facciamo cantare alle 3 di notte.
Ma non credo che mi inviteranno mai più, perché la piega che ha preso non mi riguarda: per me una canzone deve essere bella anche senza il canto, deve essere bella anche nella sola parte musicale. ‘Yesterday’ la puoi suonare pure solo con il flauto ed è comunque bellissima.Delle canzoni dominanti ora, in Italia come in Francia e in altri Paesi, se gli togli le parole, non resta niente”, chiosa amaro Caputo che confessa: “Io potrei tranquillamente ascoltare solo la musica nata tra gli anni ’50 e gli anni ’80, credo che obiettivamente il meglio sia tutto lì.
Più cerco e più trovo cose bellissime che non conoscevo e sono felice di ascoltare.Non posso dire lo stesso di molta musica di questi anni”. L’altra faccia della posizione dominante di piattaforme e social, che “pagano pochissimo” la musica, è che “il diritto d’autore è morto ed è una cosa terribile perché è una delle basi più importanti delle democrazie.
Chi crea delle opere dell’ingegno deve poter vivere di questo.Io stesso pensavo di poter vivere di diritti d’autore e invece no, vivo solo di live”, dice Caputo che proprio per questo e grazie alla pubblicazione recente dell’album ‘Sergio Caputo en France’ (“purtroppo uscito a ridosso del covid…”), nel quale ripropone molti dei suoi brani iconici in lingua francese, sta preparando anche il debutto live Oltralpe. “Solo con l’Italia non si campa, devo espandermi nel sabato francese”, ironizza. Dopo la collaborazione con Francesco Baccini (“nata perché una notte mi sognai con lui sul palco e lo chiamai, pur non avendolo mai conosciuto”) con il quale nel 2017 diede vita all’album ‘Chewing Gum Blues’ e ad un tour, oggi preferisce un percorso “solitario”, nonostante per tanti colleghi l’esperienza live condivisa (da Baglioni-Morandi a De Gregori-Venditti) sia diventata un classico in questi anni, con gli artisti in cerca di novità da proporre live in ogni stagione. “Credo di essere abbastanza amato, sento questo amore del pubblico e ho un carattere abbastanza solitario.
Non è facile per me ipotizzare un percorso diverso”, dice. Il suo pubblico attraversa ormai diverse generazioni: “La mia musica è diventata intergenerazionale, è passata dai padri ai figli, ma anche dai fratelli maggiori alle sorelle minori – ironizza – tanto che io ho sposato la sorella minore di un mio fan”, aggiunge parlando della moglie Cristina, bresciana, conosciuta grazie ad uno scambio di mail negli anni americani (“mi consigliò di correggere una parola francese che avevo pubblicato online sbagliata”, ricorda) e poi incontrata nel dietro le quinte di un concerto “sotto un diluvio” sul Lago Maggiore. “Da quel giorno – racconta – non ci siamo più lasciati.Io non credo che le coppie meglio riuscite siano quelle complementari: noi siamo uguali e stiamo benissimo insieme”, dice sorridendo. E mentre si vocifera di un documentario sulla sua storia (“non posso dire niente ma qualcosa che bolle in pentola c’è”, si smarca), alla vigilia dei 70 anni Caputo sta scrivendo il suo terzo libro (dopo il primo romanzo ‘Disperatamente (e in ritardo cane)’ del 2008 e ‘Un Sabato Italiano Memories’ del 2013): “È un romanzo di finzione che naturalmente contiene anche spunti autobiografici.
Devo trovare il tempo di tornare a immergermi nella scrittura, tra un live e l’altro, per finirlo.Perciò non chiedetemi il titolo.
Intanto vediamoci a Roma sul palco dell’Auditorium, per un sabato italiano che sarà speciale”, conclude. (di Antonella Nesi) —spettacoliwebinfo@adnkronos.com (Web Info)