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Da «Pechino ti accoglie» a «Pechino ti caccia»: ruspe per nascondere povertà

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Le ruspe per sconfiggere il degrado. Così il governo cinese vuole riqualificare Pechino. Nella capitale è scattata una campagna di sfratti, demolizioni e sgomberi con l’obiettivo di cacciare quanti più possibile fra migranti e poveri.

Sfratti, demolizioni e sgomberi, Pechino caccia i migranti e i poveri

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uspe contro il degrado: così il governo cinese vuole riqualificare la capitale

HONG KONG – Se lo slogan scelto per le Olimpiadi del 2008 era «Pechino ti accoglie», oggi potrebbe essere «Pechino ti caccia». Questo post – virale su Weibo e sugli altri social cinesi – accompagna un video in cui appare una lunga fila di uomini, donne e bambini. Lavoratori migranti – carichi di sporte, valigie e oggetti impacchettati in fretta -, che mestamente lascia le piccole abitazioni dove ha vissuto per anni. Altre immagini che circolano in queste ore sui social raccontano demolizioni di case, magazzini e negozi.

Sfratti eseguiti senza troppi convenevoli e polizia in assetto anti-sommossa che blocca l’accesso di un villaggio alla periferia di Pechino. È stata questa la risposta scelta dalle autorità della capitale cinese dopo l’ultima tragedia avvenuta in un polveroso distretto industriale, a pochi chilometri dai luccicanti shopping mall del centro. Qui, in un palazzo di Daxing, nel tardo pomeriggio del 18 novembre, è scoppiato un incendio in cui sono morte 19 persone. Quasi tutte le vittime erano lavoratori migranti, giunti a Pechino dalle province povere e rurali della Repubblica Popolare.

L’esodo dalle campagne

Negli ultimi 30 anni in Cina sono stati in centinaia di milioni a lasciare le campagne per fare gli operai nelle grandi città sulla costa. Quest’esercito di persone – motore della trasformazione dell’economia cinese – in città non ha però trovato diritti: in Cina i servizi essenziali – istruzione e sanità – sono legati all’hukou, il permesso di residenza che vincola i cittadini al proprio luogo di origine.

All’indomani della tragedia, le autorità hanno scelto la linea dura: in migliaia sono stati cacciati – con un preavviso di pochi giorni o di ore – dalle loro sistemazioni informali nella capitale. Cai Qi, il segretario del Partito comunista di Pechino, ha annunciato una task force di ispezioni che durerà 40 giorni sulla sicurezza di edifici e capannoni alla periferia della città. Il problema è reale: i lavoratori migranti vivono spesso in alloggi sovraffollati, in cui non vengono rispettate le minime norme di sicurezza e dove la linea che separa la zona abitativa da quella industriale è labile. Però, davanti ai continui rincari degli affitti, queste squallide stanze – spesso nascoste nei seminterrati dei palazzi – sono per i lavoratori migranti e sottopagati l’unica soluzione possibile. Per poche centinaia di yuan, qui trovano un alloggio soprattutto i lavoratori del tessile e i pony express, la parte più tangibile del settore in forte espansione dell’e-commerce.

Sistemi «brutali»

Davanti a metodi cinici e brutali, un’ondata di sdegno sta percorrendo la rete. Sono già un centinaio tra accademici, artisti e avvocati ad aver firmato una lettera in cui si chiede di interrompere questa campagna «spietata».

Secondo molti, infatti, le preoccupazioni legate alla sicurezza sarebbero solo una scusa per allontanare la gente di fuori Pechino. Non è un mistero, infatti, che il governo si sia posto l’obiettivo di contenere la popolazione della capitale, che nel 2016 ha sfiorato i 22 milioni di residenti. Gli storici abitanti di Pechino lamentano che i circa 8 milioni di nuovi arrivati abbiano contribuito all’aumento dell’inquinamento, del traffico e del consumo delle risorse. Inoltre, nel 2014 il presidente cinese Xi Jinping ha proposto un ambizioso piano che punta a spostare fuori da Pechino le funzioni «non da capitale». Contemporaneamente le autorità cinesi vogliono collegare – attraverso un’imponente rete infrastrutturale – la capitale con la città portuale di Tianjn e lo Hebei, la provincia rurale che circonda Pechino.

La nuova metropoli

Il piano – il cui acronimo è Jing-Jin-Ji – prevede la creazione di un’enorme area metropolitana da quasi 100 milioni di abitanti. Negli ultimi mesi altre zone della capitale sono state oggetto di un processo di riqualificazione urbana e di gentrificazione, molto simile a quello a cui si è assistito nelle città europee e americane. In Cina però tutto è stato più rapido. Dalla scorsa primavera, le strade della capitale si sono riempite di ruspe e operai che hanno demolito – quartiere dopo quartiere – chioschi, ristoranti e locali. La capitale della seconda economia del mondo è stata tirata a lucido. Pechino vuole presentarsi come una città moderna e cosmopolita. Per farlo è disposta a dimenticarsi di quegli angoli che le conferivano una certa dose di autenticità. Tanto che di fronte alla trasformazione della capitale, il blogger Zhang Wumao commentava amaramente, «per i nuovi arrivati Pechino è una città dove non possono stare, per i vecchi residenti è una casa a cui non possono tornare».

vivicentro.it/cronaca
vivicentro/Pechino, le ruspe contro il degrado
lastampa/Sfratti, demolizioni e sgomberi, Pechino caccia i migranti e i poveri FRANCESCO RADICIONI

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